martedì 1 ottobre 2013

IL PROCESSO AI TEMPLARI NEI TERRITORI DELLO STATO DELLA CHIESA. ARTICOLO DI STEFANO GUGLIELMI RICERCATORE DELLA LARTI

Sono trascorsi appena 700 anni dalla fine e dall’“apostolica sospensione” dell’Ordine del Tempio, che l’eco delle loro gesta e dei loro (presunti) “misfatti” non si è ancora spento.
Dopo lunghi anni è oramai chiaro a tutti gli studiosi la falsità di quelle accuse.
Allo stesso modo non accenna a diminuire l’enorme mole di studi e di libri (troppo spesso di carattere esoterico e fanta-misterico) che producono la sola “fortuna” degli editori, per dirla con Umberto Eco, “di pazzi che scrivono (o semplicemente parlano) sui Templari ce ne sono molti”: io, probabilmente, sono uno tra questi! Pur senza velleità di scrivere libri!
I Templari, quindi, anche quando la loro “presenza” non è richiesta, sono presenti ovunque, costituendo l’ingrediente di base di qualsivoglia pietanza.
La Storia, tuttavia, va da se che si basi esclusivamente su fatti e documenti “certi”, concreti, inoppugnabili. E tutti gli Storici, prima o poi, sono chiamati ad una prova di verità.
Gli storici si preoccupano di scrivere “la verità” e di poterla “provare”; vogliono sapere cosa possono sapere cosa sono costretti a ignorare. Ma restano impotenti di fronte a questi desideri così umani. La “prova diretta“, quella per la quale si coglie un assassino sul fatto, ha il miraggio di chi ritiene che la realtà possa essere toccata con mano. Ma i racconti di persone che hanno assistito ad uno stesso evento divergono sovente in modo decisivo. In questo dilemma lo storico rischia di mutarsi in romanziere o di smettere di narrare per paura di sbagliare. Raccontare storicamente significa evitare questi estremi. (Andrea Carandini, “La Nascita di Roma” , Einaudi - Torino, 1997)
La presente relazione non ha la presunzione di essere esaustiva, in quanto l’argomento, come ben si comprende, ha una vastità di argomentazioni, tesi, ipotesi e sfaccettature che meritano di certo approfondite ricerche.

LE ORIGINI: I “PAUPERES COMMILITONES CHRISTI TEMPLIQUE SALOMONIS”

L'origine dei "Pauperes commilitones Christi templique Salomonis", meglio noti come Cavalieri Templari, risale agli anni 1118-1120, successivi alla prima crociata (1096), quando la maggior parte dei cavalieri era tornata in Europa e le esigue milizie cristiane rimaste erano arroccate nei pochi centri abitati.
“Nello stesso anno (1118), alcuni nobili cavalieri, pieni di devozione per Dio, religiosi e timorati di Dio, rimettendosi nelle mani del signore patriarca per servire Cristo, professarono di voler vivere perpetuamente secondo le consuetudini delle regole dei canonici, osservando la castità e l'obbedienza e rifiutando ogni proprietà. Tra loro i primi e i principali furono questi due uomini venerabili, Ugo di Payens e Goffredo di Saint- Omer... “ - (Guglielmo di Tiro, Historie rerum in partibus transmarinis gestarum)
Sarebbe stato in quell'anno (1118) che il re Baldovino II di Gerusalemme avrebbe dato, secondo un altro storico Giacomo di Vitry nel suo "Historia orientalis seu Hierosolymitana" , ai "poveri cavalieri di Cristo" alcuni locali del palazzo reale, situato in prossimità del Tempio di Salomone, dal
quale l'ordine prese il nome. Gli anni più probabili per quanto concerne la fondazione del Tempio, vanno dunque dal 1118 al 1120.
Le strade della Terrasanta erano infestate da predoni e Ugo di Payns, originario dell'omonima cittadina francese della Champagne, insieme al suo compagno d'armi Goffredo di Saint-Omer e ad alcuni altri cavalieri, fondarono il nucleo originario dei templari, dandosi il compito di assicurare l'incolumità dei numerosi pellegrini europei che visitavano Gerusalemme dopo la sua conquista.
Emisero i normali voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, e costituirono una comunità che, per donazione di Baldovino II, ebbe come propria residenza una parte del palazzo reale identificato dai crociati come il tempio di Salomone, donde il nome di Templari.
Inizialmente si dedicarono alla protezione dei pellegrini che percorrevano le strade verso Gerusalemme; assunsero tale compito in un periodo in cui gli impegni sociali e morali della cavalleria erano urgenti, mentre il reale bisogno di protezione si desume dagli scritti dei pellegrini all'inizio del sec. XII.
Tuttavia, nel giro di pochi anni i Templari cominciarono a partecipare alle campagne militari contro gli infedeli, pur non abbandonando l'impegno originario. Queste circostanze spiegano il viaggio che Ugo fece in Occidente con 5 compagni, probabilmente nel 1127, e l'appello che egli rivolse a San Bernardo e che portò alla composizione del “De laude novae Militiae ad Milites Templi” scritto a sostegno dell'Ordine. Erano, infatti, considerati da
San Bernardo come una nuova specie di milizia sacra, che aveva il merito di impegnarsi in un duplice conflitto: i Templari non solo combattevano, quali monaci, contro le forze del male (“malicidio”) con le armi della preghiera e dell'abnegazione, ma partecipavano inoltre a una lodevole lotta materiale per la difesa della Chiesa e della cristianità. Per questo essi, come Crociati e in netto contrasto con quanti combattevano in guerre secolari, meritavano una ricompensa spirituale: essi erano persino considerati come martiri che offrivano la propria vita.
A partire dal 1126 l'Ordine assunse maggiore importanza, con l'ingresso del conte Ugo di Champagne, quando iniziarono a pervenire donazioni e lasciti. Questo segnò l'inizio del rapido accumularsi di ricchezze in seno all'Ordine in tutta la cristianità occidentale.
Uno dei pochi documenti coevi all'epoca di fondazione fu il testo della regola dei templari, conosciuto come regola primitiva (basata sulal Regola di S. Agostino), approvata nel gennaio 1129 con il Concilio di Troyes e volgarizzata in antico-francese fra il 1139 e il 1148.
L'ordine venne “ufficializzato” il 29 marzo 1139 dalla bolla “Omne Datum Optimum” di Innocenzo II. Questa bolla sancisce per l'ordine dei Cavalieri Templari la totale indipendenza del proprio operato e l’esenzione dal pagamento di tasse e gabelle. Questa decisione fu presa dalla Chiesa solo dopo aver sancito le condizioni per poter entrare nell'ordine; esse erano molto dure allo scopo anche di provare se vi fosse una reale e vera vocazione, la quale, oltre a spogliare l'aspirante cavaliere di ogni bene materiale, dopo un percorso di vita spirituale di tipo monastico,culminava con l'entrata nell'ordine in cui bisognava emettere i voti di povertà, castità ed obbedienza. La data dell'emanazione della bolla Omne datum optimum è considerata storicamente l'ufficializzazione dell'ordine dei cavalieri templari come ordine indipendente della Chiesa cattolica che doveva rispondere del proprio operato solo ed esclusivamente al Pontefice. La carenza di documenti dell'epoca rende impossibile l'esatta ricostruzione dei primi anni dell'Ordine del Tempio, così come il numero esatto dei cavalieri che vi aderirono. E’ solo possibile impostare la ricerca attraverso ipotesi e supposizioni, basate sui diversi documenti
successivi. La tradizione parla di nove cavalieri: “Nove uomini aderirono a questo patto santo e servirono per nove anni in abiti laici che i credenti avevano dato loro in elemosina”, ma tale numero sicuramente rivestì un significato soprattutto allegorico.
Un testo che, seppur diffuso dagli stessi templari, poco aiuta ad identificare con esattezza i momenti della fondazione.
Il terzo articolo di questa regola si riferisce al 1119 come anno di nascita dell'Ordine: “ ...pertanto, in letizia e fratellanza, su richiesta del maestro Ugo de Payns, dal quale fu fondata, per grazia dello Spirito Santo, la nostra congregazione, convenimmo a Troyes da diverse province al di là delle montagne, nel giorno di S. Ilario, nell'anno 1128 dall'incarnazione di Cristo, essendo trascorsi nove anni dalla fondazione del suddetto Ordine”. (Regola dei Templari)
I Templari, in conclusione, nacquero e rimasero fino alla loro tragica fine, essenzialmente un “ordine combattente”.

UNA FINE PROBLEMATICA: IL PROCESSO AI TEMPLARI DALLA FRANCIA ALL’ITALIA

Nota: Per maggiore e, sicuramente, più esaustiva trattazione di quello che è stato
il Processo ai Templari in Francia, non si può non rimandare al testo della Dott.ssa Loredana Imperio richiamato nella bibliografia “1307, il venerdì maledetto dei Templari.
Le inquisizioni parigine contro i templari".

Tra le principali cause, non le sole, che hanno portato la corona francese a “programmare” e portare a termine con successo ottenendo la definitiva chiusura della parabola templare, ne vanno ricordate alcune che di seguito esporremo.
Con la perdita di Gerusalemme nel 1244 e la successiva caduta di Acri del 1291 vengono definitivamente a mancare gli Stati Latini in Terrasanta: con questi, anche il ruolo dei Templari e degli altri ordini monastico-cavallereschi. La loro ritirata dopo Acri prima a Cipro e poi in Occidente ne decreta di fatto la fine in qualità di “combattenti” e li trasforma in un apparato politico-finanziario in Europa.
C’è da dire che in Francia il re capetingio Filippo IV, salito al trono nel 1285, rilevò una situazione amministrativa fortemente indebitata, anche a causa del suo predecessore Filippo III: una grave crisi finanziaria in cui la moneta era tanto svalutata da essere definita dal Papa Bonifacio VIII una “moneta fasulla”. Lo stesso re risulterà subito impopolare tra i suoi, tanto che la storica Régine Pernoud dirà che il suo regno fu “umanamente inspiegabile e si può dire altrettanto della sua persona”.
L’accumulo di ricchezze da parte dei Templari, pertanto, se letto alla luce della necessità che il Re di Francia aveva di risanare le casse dello stato, provocò presto delle aspre critiche nell’opinione pubblica tanto da far pensare che la Terra Santa traesse ben poco vantaggio dalle notevoli ricchezze messe insieme dall’Ordine. Il tentativo, fortemente avversato dall’Ultimo Maestro Templare Jacques De Molay (risposta data al Pontefice con la lettera “De Unione Templi et Hospitali Ordinem”), di accorpamento dei due Ordini Ospitalieri e Templare (la questione era già stata discussa fin dal 1274) al fine di ridimensionare il potere da questi ultimi assunto per programmare una nuova missione di riconquista della Terrasanta, fu praticamente vano. I Templari e gli Ospitalieri erano spesso criticati per l'ostilità e la rivalità che si diceva esistesse tra loro, tanto che si ritenne che il problema potesse risolversi mediante la fusione tra i due Ordini. Dal momento che tale riforma di accorpamento dei due Ordini non venne effettuata, la critica nei confronti dei Templari inevitabilmente aumentò, contribuendo a creare un'atmosfera che rese possibile al re di Francia di sferrare il suo attacco.
Oltretutto, venendo meno quegli stimoli per i quali i templari erano abituati a vivere “outremer”, hanno fatto si che maturasse velocemente il malcontento con un gran numero di fuoriusciti e/o cacciati dall’Ordine per i motivi più disparati: anche perché la disciplina, necessaria in ambiente di guerra, poteva essere messa da parte in tempo di non belligeranza. Questo malcontento produsse una schiera di membri dell’ordine pronti a diventare “delatori” dei templari stessi, trasformando la loro delusione per la cacciata in una “riscossa” in cerca di privilegi da parte della corona francese, tanto che molti furono pronti a testimoniare anche il falso, travisando (volutamente o meno) le modalità di accettazione in uso nell’ordine.
Nel clima appena descritto maturò la vicenda cardine di un templare fuoriuscito, tale Esquien de Floyran di Montfacon, il quale raccogliendo in carcere le confidenze di un compagno che avrebbe raccontato di strani riti di “iniziazione” in uso presso i Templari al fine di accedere a far parte dell’Ordine, accese di fatto la miccia di un fuoco che di li a poco avrebbe consumato l’Ordine del Tempio.
Esquien avrebbe riferito tali fatti dapprima al re d’Aragona, Giacomo II, il quale non gli diede credito e successivamente agli emissari del Re Filippo IV di Francia. Tale denuncia procurava al re l’occasione di incolpare subito i Templari, fornendogli moventi inattaccabili: il re ufficialmente continuò a favorire l’Ordine e stette al suo fianco, ma di nascosto sfruttò a proprio vantaggio la loro vulnerabilità progettandone la rovina.
Non è possibile individuare con esattezza il momento esatto in cui maturò nella mente del Re la volontà e il progetto di annientamento dell’Ordine del Tempio. Sta di fatto che il 14 settembre 1307 il Re di Francia, mediante il documento stilato da Guglielmo di Nogaret “Rex Jubet Templarios Comprehendi” che costituisce l’architrave dell’intera struttura al processo templare, invia l’ordine di arresto dei templari ai suoi balivi e siniscalchi, senza preavviso alcuno e soprattutto, senza l’autorizzazione papale.
Di lì ad un mese (dopo che si ebbe modo e tempo di individuare con esattezza i luoghi dove i templari alloggiavano) e più esattamente il fatidico venerdì 13 ottobre 1307, tutti (o quasi) i Templari furono arrestati in Francia per mezzo di una vera e propria operazione a sorpresa ed a seguito di gravissime accuse. Le accuse mosse contro i Templari, per giustificarne i mandati di cattura segreti, emessi da Filippo IV, seguivano principalmente tre filoni:
• IL RINNEGAMENTO DI CRISTO E GLI SPUTI SULLA CROCE – ERESIA
• I BACI OSCENI E LA SODOMIA – SODOMIA
• L’ADORAZIONE DI IDOLI - IDOLATRIA
Per portare a compimento il piano di spoliazione del Tempio esisteva lo strumento più adeguato: l’inquisizione, potenziata dal papato, ma controllata in Francia dalla monarchia. La diffusione dell’eresia, infatti, era stata uno dei maggiori problemi del tredicesimo secolo, e i consiglieri di Filippo IV erano adatti a trasformare l’impopolarità dell’ordine templare in “depravazione eretica”.
Queste infamanti accuse di eresia si basavano principalmente sul fatto che il rito d’ingresso nell’Ordine era segreto, quindi le fantasie degli accusatori si scatenarono, leggendo di fatto in quel rito tutte le eresie e i reati possibili per quel tempo. Venne redatto dagli inquisitori reali un elenco completo dei capi d’imputazione, composto da ben 127 articoli che possono sostanzialmente essere raggruppati in 7 gravissime accuse.
IL RINNEGAMENTO DI CRISTO: (BLASFEMIA) - Al momento dell’accoglienza i novizi erano istigati a rinnegare Cristo e a volte la Vergine ed i santi. Veniva detto loro che Cristo non era il vero Dio, ma un falso profeta, crocifisso non per la redenzione degli uomini, ma per i suoi peccati e per tanto era inutile la speranza di ottenere la salvezza attraverso lui. I nuovi fratelli dovevano quindi sputare sulla croce o sull’immagine del Cristo.
Subito dopo la parte iniziale dell’ingresso rispondente al codice etico e disciplinare dei Templari, il novizio veniva condotto in un posto isolato e qui il precettore gli diceva: “Signore , tutte le promesse che ci avete fatto sono vuote parole. Adesso dovrete dare prova di voi con i fatti”, e senza fornire alcuna spiegazione gli ordinava di rinnegare Cristo e di sputare sulla croce. Naturalmente, il novello templare riavutosi dallo stupore, si rifiutava di obbedire e la
reazione dei precettori era variabile: a volte la fermezza del candidato era rispettata e non gli si chiedeva altro, ma molto spesso i confratelli lo minacciavano di prigione, lo picchiavano violentemente a mani nude o puntandogli la spada alla gola. I cavalieri, si giustificavano dicendo che questi sacrilegi rappresentavano un rituale (experimentur) per appurare l’indole e le intenzioni del novizio, una prova in preparazione della possibile cattura da parte dei mussulmani e del resto, lo stesso papa Clemente V era convinto che fossero colpevoli di violenze, abusi e atti peccaminosi di varia natura, ma non di eresia.
Importante citare a questo proposito la deposizione del Visitatore di Francia Hugues de Pairaud il quale sosteneva che la procedura d'ammissione fosse la regola “ordinaria”, concedendo a Filippo IV una vittoria incondizionata, poiché la struttura dell'accusa del sovrano faceva perno proprio sulla fase d'ammissione, che si sarebbe svolta attraverso pratiche pagane dettate da una fantomatica “regola segreta”. Questa specifica accusa fu formulata presumibilmente per provocare il disprezzo dell'opinione pubblica, poiché la leggenda della regola segreta circolava già ampiamente fra le dicerie popolari. La confessione del visitatore di Francia era forse più grave di quella del Maestro De Molay. La sua carica, infatti, lo poneva praticamente a capo di tutte le case templari d'Occidente e comportava un ruolo più attivo rispetto a quello del Maestro, specialmente per quanto riguardava le procedure d'accoglienza, a cui Pairaud aveva presieduto svariate volte.
La deposizione porta la data 9 novembre 1307:
“Nel nome del Signore, amen. Nell'anno del Signore 1307, indizione sesta, mese di novembre, giorno nove dello stesso mese (….) E’ comparso personalmente fra Hugues de Pairaud, cavaliere del detto ordine e visitatore di Francia, avendo giurato sui santi Vangeli di Dio, da lui toccati, di dire la verità su se stesso e su altri, in un processo sulla fede (….) Disse anche sotto giuramento che, dopo aver fatto molte promesse di osservare gli statuti e i segreti dell'ordine, gli fu messo al collo il mantello dell'ordine e che il suddetto Jean, che poi divenne precettore di la Muce, lo portò dietro un altare e gli mostrò una croce su cui era l'immagine di Gesù Cristo crocifisso e gli ordinò di rinnegare colui che l'immagine rappresentava e di sputare sulla croce; ed egli, suo malgrado, rinnegò Gesù Cristo con la bocca e non col cuore, come disse. "
L'espressione “ore non tamen corde”, vale a dire con la bocca e non con il cuore, compare svariate volte nelle deposizioni. Si potrebbe teorizzare che i templari, costretti alla “falsa” confessione, tentassero di sgravarsi dalla responsabilità del rinnegamento, essendovi stati obbligati dal superiore deputato all'accoglimento.
L’ADORAZIONE DEGLI IDOLI : (idolatria) - Si dice che i Templari venerassero, dei teschi e una pittura o una testa d’uomo barbuta (Bafometto): diavolo barbuto, con corna, alato, con artigli ed ermafrodito, che i templari credevano redimesse dai peccati; per tale motivo i fratelli lo toccavano o lo cingevano con una cordicella che poi legavano intorno alla loro vita.
Il documento che svela il vero volto del presunto Bafometto si trova tra le carte processuali contro i Templari: si tratta di un foglio conservato negli archivi nazionali di Parigi.
Alcuni cavalieri rinchiusi a Carcassonne in Linguadoca, che raccontavano di cerimonie in cui venivano invitati ad adorare un lenzuolo di lino chiuso in una teca, sulla quale compariva la testa di un uomo barbuto. Un templare chiamato Arnaut Sabbatier “disse in maniera esplicita che gli era stata mostrata la figura intera di un uomo su un telo di lino, e gli fu ordinato di adorarlo baciandogli i piedi tre volte”: Era forse il Sacro lino della Sindone?
In linea di massima, costoro insinuavano che i fratelli dell’Ordine erano contaminati dall’Islam, assecondando l’opinione secondo cui i mussulmani adoravano idoli.
I BACI OSCENI E LA SODOMIA - Superato il momento del rifiuto del Cristo, il precettore dava al novizio il bacio di fratellanza monastica sulla bocca, a cui seguivano altri 2 baci: uno sull’ombelico e uno sulla parte posteriore. Infine il precettore esortava il nuovo frate a non avere rapporti con le donne invitandolo, se proprio non poteva vivere castamente, ad unirsi con i suoi confratelli e a non rifiutarsi loro se veniva richiesto per prestazioni sessuali.
In realtà da atti processuali si nota che non si trattava di un vero e proprio precetto, ma di sporadici rapporti di lunga durata che quasi sempre possedevano una dimensione affettiva.
L’AVIDITÀ - Vennero accusati di acquisire ricchezze per l’Ordine con qualunque mezzo, legale o illegale, e di utilizzare le donazione per scopi illegittimi senza devolverli in beneficienza.
LA SEGRETEZZA - Le riunioni del capitolo e le accoglienze avvenivano di notte, in segreto, con imponenti misure di sicurezza e alla sola presenza dei membri del Tempio. Dalle testimonianze emerge che in realtà, anche molti dei confratelli non conoscevano le regole dell’Ordine, ne avevano avuto conoscenza solo per sentito dire, perché molte ormai erano entrate nelle usanze del Tempio. Tanto che lo stesso Jacques de Molay nel momento di diventare Maestro chiese lui stesso a Clemente V un’indagine per fare certezza su comportamenti che si stavano consolidando all’intero del Tempio.
Altre due accuse non vennero contestate all’inizio del processo, ma vennero rilevate nel corso degli interrogatori e aggiunte nell’anno 1308:
IL RIFIUTO DEI SACRAMENTI – Si disse che i templari non credessero nei sacramenti e durante la messa i sacerdoti omettessero di pronunciare le parole della consacrazione.
L’ASSOLUZIONE IMPARTITA DAI LAICI – Si disse, infine, che i Templari ritenevano che il Maestro e gli altri dignitari dell’Ordine avessero la facoltà di raccogliere le confessioni e di assolvere dai peccati, nonostante il loro stato di laicità.
Tutte queste accuse rivolte ai Templari erano chiaramente false e costruite ad arte, le loro confessioni estorte con la tortura e prive quindi d'ogni valore.
I cavalieri non erano né migliori né peggiori di altri cavalieri di ordini di quel tempo. Soltanto, Filippo IV aveva bisogno del loro denaro, delle loro vaste proprietà terriere, delle loro fortezze; e così i suoi ministri diffusero menzogne sulla colpevolezza dell'ordine per poterlo annientare.
I templari furono processati in un’epoca in cui il giudizio sulla magia e sulla stregoneria si stava cristallizzando, rientrando nelle credenze popolari e nelle categorie mentali degli intellettuali, e pertanto le accuse in tal senso erano destinate a suscitare una reazione in tutti i settori della società.
Quando il Pontefice Clemente V (al secolo Bertrand de Got di origine francese) venne a conoscenza delle accuse, si rese conto che il Sovrano di Francia si stava appropriando di un potere non di sua competenza, arrogandosi non solo il diritto di decidere su questioni relative all’ortodossia, estendendo questo suo presunto potere su un ordine religioso che solo l’autorità del papa poteva giudicare, ma tentando anche di appropriarsi indebitamente delle ingenti ricchezze dell’Ordine, ordinando oltre agli arresti che venissero requisiti tutti i beni di cui i l’Ordine era proprietario.
Il 22 novembre del 1307, pertanto, il Papa promulga la bolla “Pastoralis praeminentiae”, con la quale:
- da un lato ordina che l'arresto dei Templari sia portato a termine anche nei paesi cristiani che si erano rifiutati di seguire l'esempio di Filippo;
- dall'altro spoglia la corona francese di ogni potestà e competenza sul processo al Tempio, reclamandone, di diritto, la completa e assoluta gestione.
Il Papa entra dunque senza esitazioni nella “questione Templare”, ed emette gli ordini di arresto: in un primo momento, Clemente V fu propenso a credere nell'innocenza dei fratelli Templari. Clemente V intese fin dall’inizio indebolire la corona francese di ogni potestà e competenza sul processo al Tempio, reclamandone l'intera gestione e contestandogli la facoltà di processare membri della Chiesa, per quanto accusati di eresia e di altri indicibili crimini.
Tuttavia fu costretto ad ordinarne l’arresto dei Templari in tutti gli stati cristiani d’Europa, in quanto, se avesse fatto il contrario, avrebbe di certo prestato il fianco ai continui attacchi e ricatti da parte di Filippo IV, il quale, sfruttando l’inimicizia del popolo verso i templari e mobilitando a suo favore gli Stati Generali e gli accademici universitari di Francia, e tenendo ulteriormente in scacco il pontefice con un altro processo, le cui accuse erano pressoché le stesse, intentato sul suo defunto predecessore Bonifacio VIII, avrebbe avuto buone probabilità di far vacillare il trono papale e con questo l’intera Chiesa di Roma.
Il 27 giugno del 1308, Filippo, per poter dare credito alle sue accuse e accontentare le pressanti richieste di chiarimenti da parte del Papa, inviò a Poitiers al cospetto di Clemente V settantadue Templari “fuoriusciti” e ben scelti, pronti a confermare le confessioni circa i crimini contestati loro e all’intero Ordine.
Non è ancora chiaro agli storici se il re avesse voluto con questo gesto dimostrare devozione e accondiscendenza al progetto processuale di Clemente oppure avesse selezionato accuratamente un campione di soggetti influenzabili che gli garantissero la reiterazione delle confessioni dell'anno
precedente. Lo studio delle deposizioni parrebbe giustificare la seconda ipotesi: i templari confesseranno nuovamente tutti o parte dei crimini loro contestati.
Il 12 agosto 1308, il Papa tenne un concistoro nel quale fu data lettura della bolla “Faciens Misericordiam”, nella quale venne indetto un concilio ecumenico in cui si sarebbe dovuto discutere dell’organizzazione di una nuova crociata nonché del problema templare: quello che poi sarà il Concilio di Vienne del 1312 che sancirà la sospensione dell’Ordine del Tempio.
Il giorno seguente, 13 agosto, il Papa invio in gran segreto i cardinali Bérenger Frédol, Etienne de Suisy e Landolfo Brancacci alla volta di Chinon, dove erano reclusi con Jacques De Molay altri dignitari dell’Ordine. Clemente V li aveva nominati suoi plenipotenziari per condurre l’inchiesta sul Gran Maestro e i dignitari del Tempio che, dopo gli interrogatori, vennero trovati tutti colpevoli, anche se di un reato meno grave dell’eresia: l’apostasia, ovvero l’abbandono formale della propria religione.
Peccato di certo più lieve dell’eresia se l’imputato avesse chiesto perdono rientrando di fatto nella comunità della Chiesa.
Agli inizi dell’anno duemila negli Archivi segreti vaticani è stato “ri-scoperto” un documento (già noto ad alcuni storici, uno per tutti lo storico Gaetano Lamattina), noto come “pergamena di Chinon”, che dimostra come papa Clemente V intendesse perdonare i templari, assolvendo il loro Maestro e gli altri capi dell'ordine dall'accusa di eresia, limitandosi a sospendere l'ordine piuttosto che sopprimerlo. Il documento appartiene alla prima fase del processo, nella quale il pontefice ancora sperava di poter salvare l'ordine, seppure a costo di assoggettarlo ad una profonda riforma.
L’atto di Chinon, presupposto necessario alla riforma, rimase tuttavia lettera morta.
Come confermano diverse fonti, il papa appurò che fra i Templari si erano effettivamente insinuate gravi forme di malcostume e pianificò una radicale riforma dell’ordine per poi fonderlo in un istituto unico con l’altro grande ordine religioso-militare degli Ospitalieri.
La monarchia francese reagì innescando un vero meccanismo di ricatto, che costringerà in seguito Clemente V a compiere un passo definitivo durante il concilio di Vienne.
Il 16 ottobre del 1311, si aprì solennemente la sessione conciliare di Vienne. Vi parteciparono circa centosessanta personalità religiose, fra cui i quattro Patriarchi della Chiesa d'Oriente e i Presidenti delle commissioni inquirenti per discutere il destino della Terrasanta e la Riforma ecclesiastica e per emanare la sentenza nei confronti dei Templari. Nonostante l'indecisione o il parere contrario della stragrande maggioranza dei presuli presenti, il
22 marzo Clemente V decreta l'abolizione dell'Ordine militare più antico della cristianità mediante la bolla “Vox in Excelso”:
“…Considerati i sospetti, le infamie, le insinuazioni e le altre cose suddette avanzate nei confronti dell'Ordine e l'accoglienza segreta e clandestina dei fratelli del detto Ordine, nonché il distacco di questi fratelli dalle usanze, dalla vita e dalle abitudini degli altri seguaci di Cristo, per il fatto che soprattutto nell'accogliere i nuovi membri facevano loro fare professione e giurare di non rivelare a nessuno le modalità dell'accoglienza e di non
lasciare l'Ordine, un comportamento a seguito del quale sorsero sospetti contro di loro; considerato inoltre il grave scandalo suscitato da tali cose contro l'Ordine e che non sembra possibile arginare se detto Ordine rimanesse in vita; considerati anche il pericolo per la fede e per le anime, nonché le molte azioni terribili compiute da numerosissimi fratelli di questo Ordine... che si sono macchiati dell'odioso peccato di apostasia contro Gesù Cristo, nostro Signore, del detestabile crimine di idolatria, dell'esecrabile oltraggio dei sodomiti... considerato anche che la Chiesa di Roma ha fatto talvolta sopprimere altri Ordini illustri per motivi molto meno gravi di quelli menzionati sopra: non senza amarezza e tristezza nel cuore, non con una sentenza giudiziaria, ma con un provvedimento o un'ordinanza apostolica, noi aboliamo il detto Ordine del Tempio, la sua Regola, il suo abito e il suo nome con un decreto irrevocabile e valido in perpetuo…”
Si uscì, dunque, dal Concilio di Vienne, non tanto con una “soppressione” dell'Ordine, quanto di fatto con uno scioglimento definitivo per decisione apostolica.
Si succedono a questo punto due bolle papali:
• il 2 maggio 1312 la Bolla “Ad Providam Christi Vicarii”, mediante la quale si concede la maggior parte delle proprietà dei Cavalieri Templari ai Cavalieri Ospitalieri, facendo si che nell’immediato l'ingente patrimonio templare italiano e dell'intero Occidente (tranne che le proprietà dei Templari nella penisola iberica), potesse disperdersi tra rivoli di furti, ruberie, vendite, distruzioni e abbandono, considerato che gli Ospitalieri tardarono ad organizzarsi anche perché impegnati nel programmare un intervento volto alla riconquista di Cipro.
• Il 6 maggio la “Considerantes Dudum”, che segna le sorti dei singoli templari: coloro che sono stati giudicati innocenti o che si sono riconciliati davanti alle commissioni diocesane riceveranno una rendita per la propria sussistenza commisurata al rango avuto nell'Ordine, ma i relapsi saranno giudicati con il massimo rigore dalla legge canonica. A coloro i quali furono riconosciuti innocenti dai concili provinciali ed a quanti si erano sottomessi alla Chiesa fu concesso un vitalizio, ma essi non ebbero la dispensa dai voti e continuarono a vivere nelle case già in possesso dei Templari o in altri istituti religiosi.
Quest’ultima situazione, come vedremo più avanti, fu anche la sorte dell’ultimo Gran Precettore d’Italia: Frà Jacopo da Montecucco.
Lo scioglimento dell'Ordine, tuttavia, non fu sufficiente, una dura condanna ai suoi massimi esponenti (Jacques de Molay e Godfrey de Charnay, in carcere fin dal 1307, ben sette anni) avrebbe dato maggiore peso e credibilità al provvedimento sancito a Vienne. A questo scopo si istituì una commissione presieduta da Marigny il vescovo di Sens Dopo l'ennesima pubblica lettura delle imputazioni, si emise velocemente il verdetto: carcere a
vita, e ai condannati non fu concessa la parola. Ma non sarebbe stato questo l'epilogo voluto dall'assemblea. Guglielmo di Nangis, testimone oculare dei fatti, descrive in questo modo gli avvenimenti: “Proprio quando i cardinali credevano di aver concluso la faccenda, improvvisamente ed inaspettatamente, due di loro, il Gran Maestro ed il Gran Precettore di Normandia si difesero accanitamente, ritrattando sia le loro confessioni che quelle degli altri, tralasciando ogni ossequio, tra la meraviglia degli astanti”.
Avendo ritrattato e dunque di fatto divenuti dei relapsi, il 18 marzo del 1314, a Parigi, sull’isolotto della Senna detto dei Giudei, il XVII ed ultimo Maestro Templare, Jacques de Molay e Godfrey de Charnay avrebbero consumato, nel rogo in cui loro stessi arsero, l’atto finale dell’intera vicenda templare.

IL PROCESSO AI TEMPLARI IN ITALIA

Abbiamo avuto modo di vedere come in Francia, la sorpresa degli arresti del 1307 e i successivi interrogatori dei Templari erano finalizzati all'istruzione di un processo generale che portasse ad una condanna definitiva dell'ordine per eresia.
In Italia e negli altri Paesi “cristiani”, viceversa, mancò quell’effetto sorpresa, risultando il primo atto formale della Santa Sede contro l'Ordine la promulgazione della bolla “Pastoralis Praeeminentiae” (22 novembre 1307) con la quale Clemente V ordina ai sovrani dei vari Stati, alle autorità secolari e agli inquisitori di procedere, a suo nome, all’arresto dei Cavalieri Templari e alla confisca e custodia di tutti i beni loro spettanti.
Dall’emissione della “Pastoralis praeeminentiae” trascorsero, tuttavia, alcuni mesi prima che il mandato potesse iniziare a produrre i primi concreti risultati sul territorio italiano. Il risultato delle differenti "operazioni di polizia, infatti, si può considerare parzialmente riuscito, in quanto se a volte permette di recuperare i beni dell'Ordine e di scongiurare nuove indebite appropriazioni e saccheggi, dall'altro manca dell'effetto sorpresa, che ha giocato un ruolo favorevole alla corona francese fin dal repentino arresto dell'ottobre 1307.
Solo nel Meridione l'ordine del papa verrà eseguito da Roberto d'Angiò, figlio e luogotenente di Carlo II d'Angiò, cugino di Filippo IV.
Nell'agosto 1308 (il 12 agosto) il pontefice emanò una nuova bolla la “Faciens misericordiam” indirizzata a tutti i vescovi ed inquisitori, che avrebbero dovuto intimare ai Templari, quelli già arrestati e quelli resisi irreperibili, di recarsi spontaneamente presso i tribunali ecclesiastici per difendere se stessi e testimoniare a favore dell'onestà e della rettitudine dell’intero Ordine.
A partire dall'agosto 1308, furono istituite non meno di sette commissioni ecclesiastiche d'inchiesta, secondo un criterio di ripartizione geografica che tiene conto della frammentazione politica e dell'ordinamento provinciale ecclesiastico della penisola.
I processi nel territorio italiano si svolsero in diverse città:
• in Puglia (Lucera e Brindisi),
• nelle Terre della Chiesa (i principali a Viterbo, Palombara Sabina),
• nell'Abruzzo superiore (Penne e Chieti),
• in Toscana (Firenze e Lucca),
• nella Marca d'Ancona (Fano),
• nella provincia ecclesiastica di Ravenna (Cesena e Ravenna).
Unica eccezione fu quella della Repubblica di Venezia che, in linea con la sua millenaria indipendenza, disattese completamente le istruzioni pontificie. Mentre, infatti, nel resto della penisola il potere inquisitoriale era detenuto da Domenicani e Francescani, nella Serenissima questo era esercitato dai reggitori della Repubblica.
A proposito del “territorio italiano”, c’è da sottolineare, come ci fa notare la Prof. Bianca Capone, che nell'epoca in cui vissero i Templari la nostra penisola era divisa in due grandi potentati:
IL REGNO D'ITALIA, che comprendeva le regioni centro- settentrionali e la Sardegna, e che faceva parte del Sacro Romano Impero;
IL REGNO DI SICILIA, che comprendeva la Sicilia e le regioni meridionali, sotto il successivo dominio dei Normanni, degli Svevi e degli Angioini.
Per quanto riguarda il massimo magistero templare italiano, è facile pensare che nel periodo normanno esistessero due Gran Precettori, uno per il centro-nord, l'altro per il sud, ma di ciò non abbiamo notizie.
E' probabile che sotto gli Svevi, soprattutto dopo il matrimonio di Enrico VI con Costanza d'Altavilla, in seguito al quale l'intera penisola italiana passò sotto il potere imperiale, esistesse un unico Gran Precettore. I documenti templari ci fanno conoscere il nome di alcuni Gran Precettori in carica nel periodo svevo; essi vengono tutti designati col titolo di "Magister in Italia", o "per totam Italiam” o "totius Italie".
Colpiscono, nelle inchieste contro i Templari in Italia, la diversità delle procedure giudiziarie e la natura contraddittoria delle conclusioni. Nelle regioni dove maggiore è l'influsso del re di Francia (Regno di Napoli) o del pontefice (Terre della Chiesa), si ottengono in prima istanza ammissioni di colpevolezza da parte dei Templari; quasi sicuramente si adopera la tortura. Al contrario nella Sicilia aragonese e nella Marca Anconitana non possono essere acquisite prove testimoniali a carico dell'Ordine. Diversa è anche la piega presa dagli avvenimenti in Toscana e nell'alta Italia, dove generalmente l'opinione pubblica è più favorevole che altrove all'Ordine.

QUADRO RIASSUNTIVO DEI PROCESSI IN ITALIA:

LUOGO ANNO NUMERO DI TEMPLARI INTERROGATI (*)

RAVENNA 1308-1311 7

PATRIMONIO 1309-1310 7
DI SAN PIETRO


MARCHESATO DI ? 1
ANCONA

CESENA ? 2

SICILIA 1310 6

BRINDISI 1310 2

FIRENZE E LUCCA 1310-1311 6
(*) - Questi numeri, non rappresentano in alcun caso una certezza assoluta. Alcuni di essi potrebbero aver
testimoniato in più processi e, oltretutto, non è possibile verificarlo perché molti documenti potrebbero
essere stati smarriti o distrutti. - (Fonte - Anne Gilmour-Bryson che nel testo “The Trial of the Templars in the
Papal State and the Abruzzi”)

1308-1311 RAVENNA E IL SUO ARCIVESCOVO RINALDO DA CONCOREZZO

A Ravenna si svolse uno dei più importanti processi dell'Italia centrosettentrionale: quello istituito da una commissione di arcivescovi con la supervisione di Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna più che mai convinto assertore dell'innocenza dei Templari. Rinaldo si oppone alle pressioni del papa sull’uso della tortura, con una dichiarazione di simile tenore: "Debbono essere considerati innocenti coloro per i quali e' possibile dimostrare che hanno confessato solo per timore della tortura. E’ innocente anche chi ha ritirato la confessione estorta con la violenza oppure non ha osato ritirarla temendo di essere di nuovo torturato".
Quella appena menzionata è la motivazione alla sentenza assolutoria del processo ai templari tenuto a Ravenna il 18 giugno 1311. Anima di quel processo fu Rinaldo da Concorezzo, Arcivescovo di Ravenna, nominato da papa Clemente V inquisitore contro i templari del Nord Italia, dalla Toscana all'Istria. I capi di accusa, nel processo di Ravenna (come altrove), furono sostanzialmente gli stessi: "Iniziazione accompagnata da offese alla croce e da baci osceni; adorazione di un idolo barbuto; liceita' della prostituzione scambievole" .
E' noto che, ovunque, le torture fatte mettere in atto dagli inquisitori papali fecero ammettere ai templari ogni empietà: anche se spesso non commesse.
Rinaldo da Concorezzo spostò il problema sul fatto che fosse da considerare lecito o meno interrogare i Templari facendo ricorso alla tortura, anche se persone accusate d'eresia dal papa in persona.
Durante lo svolgimento del processo, i padri si rifiutarono di usare gli strumenti di tortura, i templari non ammisero alcun delitto e andarono assolti con la riserva dei domenicani che non approvarono "quei criteri di serenità e di mitezza". Papa Clemente accusò Rinaldo di non aver istituito il processo con la necessaria acutezza e gli spedì una durissima lettera intimandogli di riaprire il processo usando la tortura. In particolare strigliò gli arcivescovi di Ravenna, Pisa e i vescovi di Cremona e Firenze. A Pisa e a Firenze si fece in modo ch e i templari confessarono ogni addebito loro ascritto così come nelle camere di tortura di mezza Europa. Rinaldo, invece, che univa astuzia, fermezza e tolleranza, non diede seguito all'ordine del papa in attesa del concilio di Vienne, che quattro mesi dopo avrebbe sciolto per sempre l'Ordine del Tempio, chiudendo, anzi sigillando le porte dell'aula di tribunale. Fu un uomo contro il suo tempo, ribelle, garantista, uomo di carità, semplicemente Cristiano. Di certo non fu il solo se il Vescovo Almerico di Chaluz, che gli successe a Ravenna, lo volle beato già nell’anno 1326.

PARIGI - IL TEMPLARE PIETRO DA BOLOGNA IL PRINCIPALE AVVOCATO DIFENSORE DELL’ORDINE TEMPLARE

Pietro da Bologna, anch’esso templare arrestato nella retata del 1307, fu uno dei procuratori che nel 1310, nella fase più difficile del processo ai Templari, venne designato da cinquecentosessanta suoi confratelli a difendere l'Ordine nelle udienze processuali del palazzo episcopale di Parigi, tenute dal 12 novembre 1309 al 15 maggio 1310. Il cappellano templare fu scelto per la sua preparazione giuridica e la sua dotta eloquenza; infatti, pur trascinato
davanti al tribunale in catene, espresse un'appassionata difesa dell'Ordine: È difficile per noi e per i nostri fratelli, essere privati dei sacramenti. A molti di noi è stato sottratto l'abito, a tutti i beni dell'Ordine. Tutti siamo stati gettati in carcere con infamia, messi in catene e in carcere siamo tutt'ora. La maggior parte dei confratelli che sono morti nelle carceri fuori Parigi non sono stati sepolti in terra consacrata. Al momento della morte sono stati negati loro i sacramenti della Chiesa. Gli articoli del questionario della Bolla Pontificia sono privi di senso, infami, disonorevoli
inauditi. Si tratta di menzogne, enormi menzogne, menzogne assurde, pronunciate dai nemici dell'Ordine e da calunniatori, in base a delle maldicenze. L'Ordine templare è puro, senza macchia, e tale è sempre stato, checché se ne dica. Coloro che affermano il contrario parlano da miscredenti e da eretici, seminano nella Fede l'eresia e la zizzania. Siamo qui pronti a difendere l'Ordine con tutto il cuore, con parole e opere, nella maniera migliore possibile. Domandiamo però di poter disporre liberamente di noi stessi, e di essere presenti al Concilio. Coloro che non vi possono prendere parte devono avere la possibilità di farsi rappresentare. In breve, chiediamo di essere liberati dalle carceri in cui ci detengono. Tutti i confratelli che hanno confessato, del tutto o in parte menzogne simili, non dicono il vero. Hanno confessato nel timore di essere uccisi. Alcuni hanno confessato sotto tortura, altri per aver visto a quali supplizi venivano sottoposti i loro con fratelli. Di conseguenza hanno verbalizzato ciò che volevano i loro persecutori. Non li si può biasimare, giacché i supplizi a cui alcuni sono stati sottoposti hanno suscitato terrore in molti. Hanno visto che era possibile scampare alle sofferenze e alla morte mentendo. Altri forse sono stati corrotti col denaro, o sedotti con promesse e lusinghe, o piegati con minacce. Tutto questo è noto e non si può far finta di ignorarlo, od occultarlo. Imploriamo la Misericordia Divina, che ci faccia giustizia, giacché troppo a lungo abbiamo patito una persecuzione ingiusta. Da Cristiani pii e fedeli
chiediamo di ricevere i Sacramenti della Chiesa. (Giampiero Bagni, “Pietro da Bologna: il difensore dei templari”, Bononia University Press, Bologna, 2008)
Durante le arringhe, Pietro da accusato si era fatto accusatore puntando il dito contro gli eccessi degli uomini di Filippo il Bello, nonché direttamente contro il cancelliere Guglielmo de Nogaret.
Aveva confutato duramente ogni capo d’accusa, rilevando, altresì, che le menzogne contro l’Ordine avessero avuto peso e vita soltanto in terra di Francia. Soprattutto, aveva dimostrato come l’Ordine si fosse mantenuto, per tutto il tempo della sua esistenza, nella purezza originale. Le requisitorie di Pietro avevano fatto breccia nell’animo di molti magistrati ecclesiastici presenti alle udienze, tanto rischiare di compromettere l’evoluzione già stabilita da Filippo dell’intero iter processuale. Il 13 maggio del 1310 fratel Pietro da Bologna, non si presentò all’udienza.
I cancellieri cercarono di rintracciarlo e di condurlo nella sede processuale, ma non si trovò.
Probabilmente era fuggito, o sarebbe meglio dire, era stato fatto scomparire per sempre!

IL PROCESSO AI TEMPLARI NEGLI STATI DELLA CHIESA

La cronaca del PROCESSO NELLO STATO DELLA CHIESA si basa su ben 127 articoli o capi d’accusa, ed è interamente riportato in un codice, costituito da un rotolo di “cartapecora” lungo 33,75 mt. e largo 26 cm., ottenuto dalla cucitura di 57 sezioni membranacee, conservato nell’Archivio Segreto Vaticano, con la collocazione A.S.V. Arm. D 207 (si vedano in appendice alcune immagini delle “membrane” – Documenti 02 – 03 – 04).
Tale “ritrovamento” e la loro trascrizione sono merito della storica Anne Gilmour-Bryson che nel testo “The Trial of the Templars in the Papal State and the Abruzzi”, ci dimostra come questo codice costituisca un aggiornato “diario di viaggio” che descrive minuziosamente tutta la procedura usata dalle autorità ecclesiastiche inquirenti in questo processo sia contro l’Ordine dei Tempio sia contro i singoli personaggi appartenenti all’Ordine.
Il processo contro i Templari nello Stato della Chiesa, ebbe inizio a Roma nell’autunno 1309 per concludersi a Palombara Sabina nel luglio 1310 con le modalità di cui a breve diremo.
Le tappe del PROCESSO NEGLI STATI DELLA CHIESA seguirono il seguente percorso
(Documento 01 allegato):
1. Roma settembre 1309
2. Viterbo 20-30 dicembre
3. Assisi 25 febbraio - 1 marzo 1310
4. Gubbio 3-7 marzo 1310
5. L’Aquila 3-13 aprile
6. Penne 16-28 aprile
7. Chieti 11 maggio
8. Roma 23 maggio
9. Viterbo 28 maggio-21 giugno
10. Albano Laziale 3 luglio
11. Velletri 16-17 luglio
12. Segni 17-18 luglio
13. Castel Fajola 20 luglio
14. Tivoli 21 luglio
15. Palombara Sabina 27 luglio.
Come prima tappa, la commissione pontificia incaricata di indagare sull’“Affare templari” si riunì a Roma nel monastero dei Santi Bonifacio ed Alessio, confinante con la chiesa templare di Santa Maria in Aventino, nel settembre 1309.
Roma, 1309 Settembre – “Nel Monastero dei SS. Bonifacio ed Alessio di Roma ed alla presenza del notaio Pietro Tabaldo de Tibure di Giacomo, vescovo di Sutri, e di Pandolfo de Sabello, inquisitori, comincia l’inquisizione sull’Ordine dei Templari a Roma, nel Patrimonio del Beato Pietro in Tuscia, nel Ducato di Spoleto, nell’Abruzzo, nella Campania e nella Marittima, nonché contro il Magnus Praeceptor delle domus costituite in quelle zone”.
(Anne Gilmour-Bryson, The Trial of the Templars in the Papal State and the Abbruzzi, 1932 – pp. 66-8)
ma solo nel dicembre 1309, a Viterbo, ebbero luogo i primi contatti con appartenenti all'ordine, che si svolsero nella prigione papale di Viterbo, dove si trovavano detenuti cinque di essi.
Viterbo, 1309 dicembre 20 - “Gli inquisitori sui Templari negli stati della Chiesa si sono trasferiti a Viterbo. I nunzi hanno istruzione di affiggere le citazioni sulle porte d'ingresso delle cattedrali di Viterbo, Tuscania, Bagnoreggio e delle seguenti chiese: S. Maria de Carbonaria, S. Benedetto de Burlegio, S. Maria de Castro Araldi, S. Sabino di
Tuscania, S. Matteo presso castrum Corneti, S. Giulio, prope civitam Vetulam, S. Biagio di Vetralla, dell'ordine templare, S. Maria in Capita, templare; della cattedrale di Orvieto e della chiesa di S. Marco, templare nei pressi di Orvieto; della cattedrale di Sutri e della chiesa di S. Maria de Valentano, templare, nella diocesi di Castro. Le citazioni furono affisse anche sui palazzi templari di Viterbo e Tuscania e dei Castri di Corneto e Vetralla”. (Anne Gilmour-Bryson – pp. 86-91)
Viterbo, 1309 dicembre 21 - “Nel palazzo vescovile di Viterbo, alla presenza di Giovanni Silvestro di Bagnoreggio e Pietro Tebaldo de Tibure, notai e scrivani degli inquisitori danno mandato a Guercio e lakecto di accedere alle carceri di Viterbo per notificare ai detenuti frate Pietro Valentini, frate Gerardo di Piacenza, frate Guglielmo, presbitero di Verduno, frate Enrico de Balneoregio, frate Vivolo de Sancto Justino anche l'ordine di comparire il successivo giorno ventotto dicembre dinanzi agli inquisitori” (pp. 91-2).
Dopo numerosi spostamenti nei territori papali in Abruzzo e nel ducato di Spoleto per la raccolta delle testimonianze, gli inquisitori riuscirono ad interrogate una trentina di membri appartenenti a differenti ordini religiosi, più altri tre Templari. Tuttavia, tra i Confratelli che si presentarono a testimoniare solo sette di questi confessarono (in verità solo in parte) quanto all’Ordine del Tempio veniva contestato.
L'Aquila, 1310 aprile 6 - Giacomo, vescovo di Sutri, Pandolfo Savelli, convocate le autorità civili ed ecclesiastiche d'Abruzzo, procedono alla lettura della bolla “Faciens misericordiam”; nominano i nunzi per le citazioni e fissano i termini (22 aprile successivo) per la presentazione davanti a loro dei Templari della regione, del loro gran precettore Giacomo di Montecucco e dei loro rappresentanti (pp. 121-2).
L'Aquila, 1310 aprile 13 - I nunzi danno notizia agli inquisitori di aver affisso le citazioni sulle porte della cattedrale della Marsica, della cattedrale di Sulmona (Valva), della cattedrale di Chieti e sulla porta delle chiese di S. Nicola e di S. Salvatore de Linari, appartenenti all'Ordine templare (pp. 122-3).
Dalla pergamena Arm. D 207 e secondo la trascrizione della stessa da parte della storica Anne Gilmour-Bryson essi:
1. Ceccus Nicolai Ragoni da Ladano (28-IV- 1310 a Penne)
2. Andreas Armanni de Monte Oderisio (11-V-1310 a Chieti)
3. Guillelmus de Verduno - Presbitero (7-VI-1310 a Viterbo)
4. Gerardus de Placentia (8-VI-1310 a Viterbo)
5. Petrus Valentini (9-VI-1310 a Viterbo)
6. Vivolus de villa Sancti Justini (diocesi de Perugia 10-VI-1310 a Viterbo)
7. Gualterius Iohannis de Neapoli (27-VII-1310 a Palombara Sabina)
Importante citare sinteticamente alcune di queste deposizioni.
1. CECCUS NICOLAI RAGONI DA LADANO - Frate Cecco Di Nicolò Ragone Di Lanciano
Il 22 aprile 1310 nel palazzo vescovile di Penne, attualmente in Provincia di Pescara, gli inquisitori comandano a Gregorio e Pietruzzo lacobelli di recarsi personalmente da frate Cecco Nicolay Ragonis de Lanzano, servente dell'ordine templare, catturato il giorno precedente e detenuto nel locale carcere vescovile. I nunzi riferiscono successivamente di essersi recati presso il prigioniero e di aver appreso che non intendeva comparire in nome dell'Ordine e del loro gran precettore né di voler scusare le loro persone o quella del loro gran precettore dalle accuse. Il successivo 28 aprile, gli inquisitori ricevono la deposizione di frate Cecco di Nicolò Ragone di Lanciano. Questi riferì che una precettoria era costituita dalle domus di Roma, Marittima, Campania, Patrimonio Beato Pietro in Tuscia, Lombardia, Marca Anconetana e Ducato Spoletano. Al tempo della sua ricezione era “magnus preceptor” nelle sopraddette parti frate Uguccione de Vercellis che lo ricevette; alla morte di questi, divenne “magnus praeceptor” lacopo de Montecucco che vide a Perugia al tempo di papa Benedetto XI. Cecco, durante la deposizone, ricorda l'esortazione rivoltagli dai due dignitari templari di non adorare “illum qui stat pictus in ecclesia”, cioè Cristo Crocifisso. Per questo Cecco rispose ridendo: “Non faciam! Quid est hoc quod dicitis?”. Il precettore e frate Guglielmo, sguainate le spade, dissero: “Nisi sic facias ut tibi diximus et nos fecimus, non recedes vivus de loco isto”.
A questo punto, Cecco, “timore mortis”, adorò l'idolo secondo l'ordine dei due templari. Pietro e Guglielmo lo presero “ad osculum oris” e gli dissero: “A modo fecisti sicut facere debet valens homo”. Dopo essersi intrattenuto su vane questioni legate al rito di adorazione dell'idolo e all'abiura del Cristo Crocifisso, riferì che Pietro Ultramontanus, “qui erat laycus”, durante una riunione con sette o otto templari a Torre Maggiore tenuta il giorno seguente la sua ricezione, affermò di essere in grado di assolvere coloro i quali si fossero recati da lui per confessarsi.
Interrogato intorno al XXXVIII articolo dell’inquisizione, Cecco riferì, tra l'altro, che nove anni prima (1301)
Filippo de Flandia, conte di Chieti, chiese: “Quid est hoc, frater Ceche, quod vos de ordine militie Templi recipitis fratres ad ordinem militie Templi clandestine et nullis presentibus nisi fratribus ordinis vestri, et non potuit homo scire quid facitis?” Lasciando intendere che il Tempio osservasse una certa segretezza durante i loro incontri.

Il 29 maggio 1310 gli inquisitori sono a Viterbo per ascoltare le deposizioni di Frate Pietro Valentini, frate Gerardo di Piacenza, frate Guglielmo de Verduno e frate Vivolo de comitalu Perusci, detenuti in città. Si riuniscono nel palazzo vescovile della città e, preso atto che, a seguito dell’'invito del 23 maggio precedente, nessuno si è presentato per difendere l'Ordine cavalleresco ed il gran precettore per i territori di Roma del Patrimonio del Beato Pietro in Tuscia, del ducato di Spoleto, dell'Abruzzo, della Campania e della Marittima, dichiarano la contumacia dell'Ordine.

2. FRATE GUGLIELMO DE VERDUNO – Presbitero
Il 7 giugno 1310 a Viterbo, gli inquisitori sottopongono ad interrogatorio frate Guglielmo de Verduno. Da quanto riportato negli atti, risulta che Guglielmo de Verduno quando fu ricevuto nell'Ordine il gran precettore d'Italia era Uguccione di Vercelli che lo ricevette e non fu sottoposto a nessuna abiura. Gli successe nella carica Giacomo de Monte Cuccho. Successivamente, però, frate Guglielmo de Pede Montis e frate Domenico de Corneto in S. Maria in Aventino, “in camera ubi erat calciolaria”, sprangate le porte, gli dissero “quod quilibet qui recipitur ad dictum ordinem debet abnegare Christum” e sguainate le spade gli imposero di rinnegare Cristo? Guglielmo ubbidì.

3. FRATE GERARDO DE PLACENTIA
L’8 giugno 1310 a Viterbo gli inquisitori sottopongono ad interrogatorio frate Gerardo de Placentia, servente. Dalla sua deposizione risulta che fu ricevuto nell'Ordine più di ventiquattro anni prima da frate Bianco de comitatu Placentie nella chiesa di S. Maria de Placentia, elenca tutti i Gran Precettori d’Italia tra i quali l’ultimo Giacomo de Monte Cuccho. Dopo la cerimonia vera e propria gli dissero: "Oportet to facere quod faciunt alii fratres dicti ordinis et que nos fecimus, silicet, abnegare Christum, et in eum non credere tamquam in falsum prophetam et crucifixum pro sceleribus suis”. Ricorda, ancora, che frate Giacomo de Bononia era vicario di frate Giacomo de Monte Cuccho, ora gran precettore, “carnaliter commiscebatur cum fratre Manfredo de Balneoregio”. Ricorda ancora “Interrogatus quem deorum esse credebant, ipsum ydolum, dixit se nescire qua non potuit sibi dictum”.

4. FRATE PIETRO VALENTINI
Il 9 giugno 1310 a Viterbo gli inquisitori sottopongono ad interrogatorio frate Pietro Valentini, servente. Disse che al tempo della sua ricezione il gran precettore “in Lombardia….” era frate Bianco de comitatu Placentie; questi lo ricevette in S. Maria in Aventino. Attualmente il Gran Precettore delle Provincie Italiane era Giacomo de Monte Cuccho. Frate Pietro Valentini non fa menzione ai capi di accusa ma si limita a relazionare sulla cronologia dei
Gran Precettori.

5. FRATE VIVOLO VIVOLUS DE VILLA SANCTI JUSTINI
Il 10 giugno a Viterbo gli inquisitori interrogano frate Vivolo dalla cui deposizione risulta che fu ricevuto nell'Ordine da frate Uguccione di Vercelli, gran precettore in Lombardia. Alla sua morte divenne gran precettore Giacomo di Montecucco che mantiene la carica. Dalla sua deposizione risulta inoltre che fu ricevuto “in loco Castri Araldi dicti ordinis Viterbiensis diocesi” e vi era anche frate Giorgio, vicario di Uguccione, “in Patrimonio beati Petri in Tuscia”. Risulta, ancora, che assistette alla ricezione di frate Alberto, avvenuta in S. Maria in Aventino come quella di frate Guglielmo Lombardo; la cerimonia del primo fu presieduta da Uguccione di Vercelli, quella del secondo, da frate Albertino, vicario di Giacomo de Monte Cuccho. Prese parte anche alle cerimonie di ricezione di frate Gualtiero e Pietro de Valentia. Anche Frate Vivolo non fa menzione ai capi di accusa.

3-4 luglio1310 Albano - Nella chiesa di S. Pietro di Albano, il vescovo di Sutri e Pandolfo Savelli riprendono l'inquisizione sui Templari negli stati della Chiesa e sul loro gran precettore. In particolare, si occupano delta presenza dell'Ordine cavalleresco in Maritima et Campania. Fissano nel 16 luglio la data delta comparsa dei testimoni nel palazzo vescovile di Velletri ed affidano ai nunzi l'incarico di affiggere le citazioni sulle porte delle chiese cattedrali di Albano, Segni, Anagni, Ferentino, Alatri, Veroli e Terracina nonché su eventuali chiese templari della zona.

8-10 luglio1310 Albano - Nel monastero di S. Paolo di Albano, gli inquisitori apprendono dell’'avventata affissione delle citazioni sulle porte delta cattedrale di Albano; sulle porte della chiesa di S. Migrano, templare; sulle porte delle cattedrali di Velletri e Segni; Anagni e Ferentino; Alatri, Veroli e Terracina.
Nessuna chiesa risulta templare nella Maritima e nella Campania.

16-17 luglio 1310 Velletri - Nel palazzo vescovile di Velletri gli inquisitori sui Templari della Maritima e delta Campania prendono atto che nessuno si è presentato in difesa dell'Ordine, dichiarano contumaci gli stessi e chiedono ai testi se qualche frate templare esiste nelle due regioni o a Velletri e nella sua diocesi o se qualcuno può fornire notizie su di loro. Tutti risposero di non sapere. Ugualmente dettero una risposta negativa i vescovi di Velletri, Segni, Anagni e Terracina.

6. FRATE GUALTIERO GIOVANNI DI NAPOLI, SERVENTE
Il 27 luglio 1310 a Palombara Sabina Nel palazzo della Rocca gli inquisitori sottopongono ad interrogatorio frate Gualtiero Giovanni di Napoli, servente. Questi entrò nell'Ordine cavalleresco nell’anno 1300 al tempo di Bonifacio VIII e che il gran precettore “in Lombardia...” era Uguccione di Vercelli. Ad Uguccione successe Giacomo de Monte Cucco.
La sua ricezione avvenne “in loco Castri Araldi”, nella camera del precettore. Insieme a lui furono ricevuti
frate Vivolo “de villa Sancti lustini comitatus Peruscini” e frate Pietro de Valentia, alla presenza di altri fratelli.
Fra l'altro, degno di rilievo fu la deposizione nel brano che segue: dopo aver rinnegato Cristo, frate Gualtiero
Giovanni chiese ad Alberto de Castro Alquatro: “in quem ergo credam? et ipse frater Albertus respondit: ”In unum deum magnum quem adorant Sarraceni”. Ipse tamen dixit se numquem vidisse vel adorasse dictam ymaginem”.

Iniziato nel 1309, il processo ai Templari sul suolo italiano, e in particolare negli Stati pontifici, si concluse a Palombara Sabina (a pochi chilometri da Roma) dopo circa nove mesi di indagini il 27 maggio 1310.
Alla fine di questo breve periodo (dal settembre-ottobre 1309 al luglio del 1310) la commissione inquisitoriale pontificia aveva si raccolto le testimonianze dei Templari che era riuscita ad interrogare in minuti dettagli delle attività dei nunzi, dei notai e degli inquisitori (riportati nel manoscritto), tuttavia di queste poche decine di appartenenti all’Ordine che fu possibile assicurare alla giustizia e tradurre davanti ai tribunali inquisitoriali furono interrogati quasi sempre Templari già prigionieri, non trovandosene altri (salvo casi particolari) che volessero rischiare la propria vita per esporsi pubblicamente: in definitiva uno scarso risultato per tanto lavoro. La realtà, quindi, è che quello negli Stati della Chiesa fu uno dei processi meno importanti rispetto ad altri tanto che, con ogni probabilità, "i risultati di questa inchiesta non ebbero alcuna influenza sul successivo Concilio di Vienne del 1312 che sanciva la definitiva sospensione dell’Ordine del Tempio (...) in quanto le personalità trovate in esso non furono notevoli".

IL PROCESSO AI TEMPLARI: LA TAPPA DI GUBBIO

Una “commissione pontificia itinerante”, presieduta da Giacomo vescovo di Sutri e da Pandolfo Savelli protonotario del papa, percorse tra l'ottobre 1309 e il luglio 1310 il Lazio, l'Umbria e l'Abruzzo alla ricerca dei Templari, non sempre guidata da sicure cognizioni circa il numero e la situazione geografica delle loro case. Perugia fu interessata solo in misura marginale dai lavori della commissione che scelse prima Assisi e poi Gubbio come basi operative in Umbria. Il 25 febbraio 1310 nunzi giurati, secondo le istruzioni ricevute dagli inquisitori, affiggevano le citazioni sulle porte di S. Bevignate, di S. Giustino d'Arno, di S. Francesco in Assisi, delle cattedrali perugina, assisana, folignate, nonché in hostiis palatii auditorii del duca e del rettore del Ducato di Spoleto, in Assisi. Ventiquattro ore più tardi identiche formalità erano adempiute davanti alle cattedrali di Spoleto e di Nocera Umbra. Ultima... fu la precettoria templare di S. Paterniano nella diocesi di Nocera Umbra”. (Francesco Tommasi, L’Ordine dei Templari a Perugia, in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria”, Perugia, LXXVIII (1981)
Abbiamo già avuto modo di vedere come Clemente V, prima con la Pastoralis Praeminentiae (1307) poi con la Faciens Misericordiam (1308) chiese a tutti i sovrani d’Europa di appoggiare il suo intervento, volto a togliere al re di Francia la libertà esclusiva a procedere contro un Ordine che, che era da considerarsi sotto l’esclusiva giurisdizione papale. Nello stesso tempo, avocava a se il diritto a giudicare i Templari autorizzando i suoi Tribunali ad agire in qualunque Stato Cattolico europeo: Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna, Scozia, Irlanda e negli Stati della Penisola Italiana.
Il lavoro svolto dalla Commisione Pontificia incaricata condotto negli Stati della Chiesa (Patrimonio del Beato Pietro, in Tuscia, Ducato di Spoleto, Abruzzo e in “Campanie e Marittime partibus”), risulta di particolare interesse, malgrado, come visto in precedenza, di scarso risvolto sull’intero Processo ai Templari.
A noi interessa focalizzare l’attenzione su quello che successe in terra umbro-marchigiana: il cosiddetto “Processo ai Templari del Monte Cucco” (svoltosi il nel marzo 1310 in quel di Gubbio), il quale non solo fu molto meno cruento di quello francese, per le ragioni che andremo a dire, ma non vi fu neanche un processo nei termini in cui questo avrebbe dovuto svolgersi, perché non si poté contare sulla presenza “fisica” degli imputati e, quindi, non andò a buon fine, almeno secondo quelle che erano le intenzioni del Romano Pontefice e della Commissione Pontificia da quest’ultimo incaricata.
Il territorio in cui la commissione ebbe modo di operare, alla ricerca di templari dissidenti, comprende numerosi comuni tra Umbria e Marche: Fabriano, Sassoferrato, Scheggia, Sigillo, Costacciaro e Fossato di Vico.
Le “tracce” della certa, o a volte presunta, presenza templare riguardano le località di San Cassiano, Casalvento, San Felice, Perticano, l’Eremo di San Girolamo, Pascelupo, l’Abbazia di Sant’Emiliano, Scheggia, Costacciaro, Sigillo, Purello, Fossato di Vico e Campodiegoli, oltre la Chiesa di Santa Croce di Collina, Scirca, Costacciaro, Scheggia, e l’Eremo di Montecucco.
Il 25 febbraio del 1310 i nunzi della commissione avevano affisso le citazioni dell'inquisizione anche sulla porta delta chiesa templare di S. Paterniano, in diocesi di Nocera Umbra. Francesco Tommasi ha identificato questa chiesa con la chiesa di Perticano, nel comune di Sassoferrato, passata agli Ospitalieri dopo la sospensione dell'Ordine templare (1312). Tale precettorìa templare di Perticano fu colpita da mandato d’inquisizione il 28 febbraio 1310.
La Commisione itinerante, dunque, si spostò dalla cittadina di Assisi, dove si fermò dal 25 febbraio al 1 marzo 1310 per giungere nella città di Gubbio il 3 marzo 1310 e concludere le proprie attività il giorno 7 dello stesso mese. Non più di cinque giorni!
Assisi, 1310 febbraio 25 - Gli inquisitori sui Templari negli stati della Chiesa si trovano nel monastero di S. Pietro di Assisi per l’inquisizione nel Ducato di Spoleto. Fanno affiggere le citazione sulle porte della cattedrale di Spoleto e delle chiese dei SS. Bevignate, Giustino e Paterniano, templari, nonché sulle porte della chiesa di S. Francesco di Assisi e su quelle del palazzo dell'Uditore. (Anne Gilmour-Bryson – pp. 100-6)
In questo breve lasso di tempo, il “tentato” processo vide il Tribunale papale presente presso la sede del Palazzo della Chiesa di Santa Croce di Gubbio (detta “della Foce”) per i giorni 3 e 4 marzo, e il Palazzo del Vescovado di Gubbio per i giorni 6 e 7 marzo 1310.
Il “tribunale itinerante” chiamato a giudicare era composto, oltre che dagli inquisitori, notai, scrivani e nunzi papali, anche da cittadini di rilievo di ogni città o sede di inquisizione:
• della commissione papale facevano parte: (vedasi in allegato le membrane 44 e 45) “Johannis de Vassano – Johannis Silvestri de Balneoregio – Petrus Thebaldi de Tybure – Silvester de Albano – Pandulphus de Sabello – Jacobus Vescovo di Sutri – Nicolaus medico de Tybure – Johannis archi presbitero di San Pietro de Albano – Matheus
de Cavallutis de Urbe – Hugolinus canonico de Chableis”
• per quanto concerne i notabili della città di Gubbio si possono annoverare: Nicola, abate di S. Pietro di Gubbio - Franciscus, priore della chiesa di Santa Croce di Gubbio - Deotefece, priore della chiesa cattedrale di Gubbio - Hubaldus, priore di Insula (Filiorum Manfredi-Costacciaro?) Diocesi Eugubina Petrus, canonico della chiesa
cattedrale di Gubbio - Alleuritio, canonico della chiesa cattedrale di Gubbio - D.nus Raynerius d.ni Saxi - D.nus Brunus de Tebaldo de Eugubio - D.nus Abrunamonte de Serra - D.nus Bruno Gabrielli (Binus?)
• e una fitta schiera di nobili e personalità eugubine: “et multis aliis providis et discretis tam clericis quam laycis testibus”, non meno importanti degli stessi membri papali e/o dei notabili della città.
La ricerca presso l’Archivio Segreto Vaticano, condotta dal dott. Pier Luigi Menichetti con il testo latino tradotto da mons. Domenico Bartoletti, secondo un formulario notarile dei primissimi anni del trecento, conduce al testo della prima seduta del 3 marzo 1310 che così recita: “Il giorno 3 marzo 1310, nel Palazzo di Santa Croce in Gubbio, alla presenza di me Giovanni di Vassano, di Giovanni di Silvestro da Bagnoregio, di Piero di Tebaldo da Tivoli, e di Silvestro da Albano, notati e inquisitori dei sopraddetti signori, e anche alla presenza del venerabile Padre signor Francesco, per grazia di dio vescovo di Gubbio, del Signor Abrunamente di Serra, del Signor Bruno Gabrielli, di Raniero del signor Sassi e di molta altra discreta moltitudine di nobili e di abili viventi di Gubbio. I predetti signori inquisitori dissero di essere venuti a Gubbio, oggi, nel giorno del detto 3 marzo, per aspettare, prima del termine, entro il termine, e nel termine, l’Ordine della Milizia del Tempio Gerosolimitano e il grande Precettore del detto Ordine nel Ducato di Spoleto e negli altri territori con quei decreti costituito, e il Frate Giacomo da Montecuccho, che per grande Precettore, in quelle parti si dice generato per ultimo, come anche i Fautori, i Ricettatori, e i Difensori dei Frati, del gran Precettore e di Frate Giacomo predetti, citati pubblicamente, per una loro ordinanza di citazione e comparizione degli stessi, citati dagli stessi signori inquisitori, intenzionalmente e primariamente, per pubblico editto di citazione nella città di Assisi, affinché nel giorno 6 del detto marzo nella città di Gubbio, nel Palazzo vescovile della stessa città, davanti a loro dovessero comparire, per rispondere all’inquisizione che, per autorità apostolica, sopra quegli articoli, ad essi trasmessi con Bolla, contro il detto Ordine, e il Gran Precettore di detto Ordine e gli altri precitati fanno e intendono fare e a procedere in essi, affinché si provveda a tutte le cose
e alle incombenti, come è di diritto. Nell’attesa, quindi, di questo termine di comparizione del predetto Ordine e del grande Precettore e degli altri precitati, gli stessi signori inquisitori resteranno nel detto luogo del palazzo vescovile in Gubbio al quale predetto Ordine, il grande Precettore e gli altri precitati sono convocati e citati dai Signori inquisitori predetti”.
Furono chiamati a comparire numerosi Templari di rilievo delle zone umbro-marchigiane (fra cui anche templari provenienti dalla precettorìa di Perticano e della commenda di Santa Croce di Culiano di Sigillo). Altre notizie riguardo ad un “templare eugubino” le apprendiamo da uno scritto di un nobile di Gubbio: "Battista Sforzolini, cavaliere del Tempio di Gerusalemme, fu uno dei più prodi guerrieri del suo tempo; fu sempre il primo in tutti i più pericolosi azardi; non si sottrasse mai ai pericoli, quasi sormontò co’ l valore, e co’ l senno, e nelle più spaventose mischie diede à vedere, che un cuore generoso non trova pericolo, che lo spaventi".
Templare fu, probabilmente, anche un altro Sforzolini, il "Cavaliere di Rhodi" Guido Sforzolini.
Il portavoce della Commissione Pontificia dichiarò, alfine, che: “trascorse queste ore, pur non recedendo dalla dichiarazione di contumacia, il Tribunale è disposto ad ascoltarli ancora ogni ora del giorno e per qualche giorno. In caso contrario verrà pronunciata sentenza di scomunica”.
Non essendosi presentato entro il 28 dicembre a testimoniare contro o a favore dell’Ordine alcuno dei convocati, malgrado le citazioni affisse sulle chiese della zona, gli “inquisiti”, e in particolare Frà Jacopo da Montecucco, furono dichiarati contumaci e, di fatto, scomunicati e si sarebbe proceduto contro di loro con le sole deposizioni dei testimoni.
Come abbiamo avuto già modo di evidenziare, il processo contro i Templari nello Stato della Chiesa, iniziato nell’autunno 1309, si concluse a Palombara Sabina nel maggio 1310.
Tra i confratelli che si sono presentati a testimoniare solo 7 hanno confessato in parte quanto era contestato all’Ordine, e abbiamo già avuto modo di vedere chi fossero e dove vennero interrogati.
Il “ricercato numero uno”, tuttavia, il principale imputato, era da considerare il Gran Precettore d’Italia, Frà Jacopo da Montecucco, oltre tutti i “fautori, ricettatori, difensori e fiancheggiatori dell’Ordine”.
Si ignora che fine abbiano fatto questi Templari, sopratutto Frà Giacomo da Montecucco: qualche storico ipotizza che il loro “rifugio” possa essere stato l’Eremo di Monte Cucco.
Per concludere l’aspetto legato alla mancata possibilità di giudicare i Templari, c’è da evidenziare l’interessante studio condotto dal Dott. Euro Puletti in merito al fatto che fra i testimoni dell’accusa contro i Templari fosse indicato un tale Hubaldus, priore dell’abbazia di Insula Filiorum Manfredi di Costacciaro.
Abbiamo avuto modo di vedere come il cerimoniale di accoglienza nell’Ordine, fosse una “appendice” considerata facente parte del cerimoniale, per così dire, “segreto” di ingresso del nuovo membro dell’Ordine.
Alla fine della cerimonia di investitura, la “vittima”, ovviamente stupita, quando non letteralmente esterrefatta da quanto controvoglia costretta a subire, era invitata a recarsi presso il cappellano templare per confessarsi delle colpe appena commesse e farsi dare l’assoluzione. Spesso, però, questi si recavano da altri sacerdoti esterni alla cerchia dell’Ordine, e pertanto, ignari del significato probabilmente “allusivo” del cerimoniale appena vissuto.
In genere questi sacerdoti esterni erano Francescani o Domenicani, i quali, ovviamente, restavano stupiti alimentando il disagio morale del novello templare dicendogli che si trovava in peccato mortale esortandolo, a volte, a fuggire dall’Ordine. Le indiscrezioni fatte da questi sacerdoti, in tutta buona fede ignari della vera funzione del cerimoniale segreto, potrebbero alimentato successiva romantica fama sul volto “oscuro” dell’Ordine.
Alla luce di quanto riportato, si inquadra il summenzionato Hubaldus, priore dell’abbazia di Insula Filiorum Manfredi, presente, come abbiamo visto, tra i notabili di Gubbio uno dei maggiori accusatori dei Templari nel processo tenutosi a Gubbio, possa assumere un’importanza anche e soprattutto sotto questa luce, potendo essere stato, suo malgrado, il
confessore di qualche templare della zona e aver raccolto confessioni “piccanti” ignaro del loro vero significato.
L’abate avellanita, fu sia secondo le pergamene in cui viene richiamato che secondo le ricerche condotte dallo storico Dott. Euro Puletti, Priore dell’Abbazia di Sant'Andrea de Insula Filiorum Manfredii di Costacciaro nell’anno 1310.
L’Abbazia di origine doveva essere quella Fonte Avellana il cui Monastero, dedicato alla Santa Croce (curiosa analogia con la Chiesa di Gubbio dove si tenne la prima udienza) è situato alle pendici del massiccio montuoso del Catria a 700 metri di altezza. Le sue origini si collocano intorno all’anno Mille ma è certo che già negli ultimi decenni del X secolo
alcuni eremiti avevano scelto di dimorare in questa boscosa insenatura della montagna caratterizzata da una vasta presenza di alberi di nocciolo (le avellane, da cui il nome dell’Abbazia). Solo nell’anno 1325 Fonte Avellanam fu eretta ad Abbazia divenendo una potenza socioeconomica. Si può ritenere, dunque, che l'abate avellanita Hubaldus fosse un testimone di eccezione per l'accusa nei confronti dei Templari locali, tanto che compare nella prima seduta del processo celebratosi a Gubbio. Questi in virtù del suo ruolo, potrebbe non solo aver raccolto le confessioni di membri dell’Ordine, dimostrandosi, quindi, persona a conoscenza di fatti che descrivevano per l’appunto azioni riconducibili alle accuse formulate (frequentemente calunniose) imputate pretestuosamente ai Cavalieri dell’Ordine, ma anche aver intrattenuto rapporti di contiguità o di familiarità, con alcuni monaci Templari.
L’Ordine, infatti, poteva con ogni probabilità essere presente sia presso l'abbazia di Sant'Andrea de Insula Filiorum Manfredii (la quale era a capo di una domus templare a Colmartino di Costacciaro: la Domus Berardelli), che nel monastero benedettino di San Benedetto Vecchio (sec. XI). A questo proposito (sempre citando il Puletti) è interessante menzionare un’epigrafe dedicatoria, incisa in caratteri gotici inscritti entro cinque righi regolari, realizzati a mo’ di pentagramma, su di una piccola pietra quadrangolare rosata, facente parte dello stipite dell’arco d’un portale è presente al piano terreno del refettorio del monastero di San Benedetto Vecchio a Gubbio.
Tale epigrafe sembrerebbe celabrare la memoria di un priore tale Hubaldus, abate di Costacciaro, appartenente alla ragguardevole famiglia d’origine germanica dei De Gelfonibus (ovvero De Guelfonibus), estintasi secoli addietro e della quale ci sono pervenute solo scarse notizie storico-documentarie.
La trascrizione originale dell’epigrafe summenzionata recita:
EPIGRAFE ORIGINALE IN LATINO TRADUZIONE ITALIANA
"A. D. M.C.C.C.X.VI I :
TM. D. UBALDI . ABBIS:
DE . GELFONIBUS: DE .
COSTACIARIO"
"Anno Domini MCCCXVI I
tempore Domini Ubaldi
Abbatis de Gelfonibus de
Costaciario"
"Anno del Signore 1317 al
tempo di don Ubaldo
abate dei Guelfóni di
Costacciaro"
L'abate in questione dovette, quindi, essere assai influente se di lui è rimasta una memoria epigrafica nel "palazzo" di un monastero benedettino, che ebbe grande ricchezza ed importanza nel Medioevo. Non è escluso che, con la citata epigrafe, si fosse inteso celebrare il suo zelante impegno nel dare la caccia ai Templari, i quali, nell'ambito della Chiesa eugubina, vivevano ed operavano soprattutto in seno all'Ordine benedettino. E’ probabile, come conclude Puletti, che questo Hubaldus, Priore dell'abbazia benedettina di Insula Filiorum Manfredii e Ubaldus de Gelfonibus de Costaciario, abate del monastero benedettino di San Benedetto Vecchio di Gubbio, potessero essere in realtà la stessa persona. A maggior conferma di quanto sopra esposto, è interessante aggiungere un passo di don Nando Dormi, il quale conferma, di fatto, che i due personaggi storici fossero gli stessi: “La Chiesa, che in questi anni ha esaminato molte pergamene riguardanti Costacciaro - non ha rivalutato l'Ordine, sciolto con decreto amministrativo, in quanto ritenuto ormai terminato il suo compito di protezione dei pellegrini e dei territori conquistati in Terra Santa. Pertanto, a differenza di ciò che è scritto in alcuni testi, non si è trattato di scomunica, nonostante questa fosse auspicata da Filippo il Bello, eppure i cavalieri del Tempio di Gerusalemme vennero inquisiti e processati, screditati con accuse poi risultate false. Uno dei maggiori inquirenti del processo templare a Gubbio era proprio di Costacciaro, tale Hubaldus, monaco avellanita della famiglia Guelfoni, forse in attrito con i Cavalieri lì presenti per questioni economiche”.

UN TEMPLARE “IMPRENDIBILE”: Frà JACOPO DA MONTECUCCO

Abbiamo avuto modo di vedere come all’inizio dell’estate 1308 papa Clemente V, dalla sua residenza di Avignone, inviava un’ordinanza ai più autorevoli vescovi dei territori italiani, espressa sotto varie forme ed attraverso diverse motivazioni, per ottenere informazioni sui Templari presenti in ciascuna delle loro diocesi di competenza. L’istanza pontificia alludeva alla scarsamente velata esortazione di approntare un processo inquisitorio sull’operato dei Templari, già accusati dal re di Francia Filippo IV il Bello di gravi crimini anche nei confronti della Chiesa.
Nell’elenco dei nomi dei cavalieri templari ricercati appunto nel 1308, non poteva non comparire il più “importante” tra loro, Frà Jacopo Da Montecucco, ultimo Gran Precettore d’Italia “domorum militie Templi in Lombardia, Tuscia, Terra Rome et Sardinia Generalis Preceptor, atque alliarum preceptoriarum domorum militie Templi”.
La citazione di comparizione fu fatta più volte esporre pubblicamente dai vescovi umbri sui portoni delle più importanti chiese di Gubbio, di Foligno e di Spoleto.

LA VITA E IL SUO RUOLO ALL’INTERNO DELL’ORDINE

Sulla vita e sulle gesta dell'ultimo Gran Precettore d'Italia non sappiamo quasi nulla se le poche e scarne notizie derivanti dagli interrogatori dei Templari processati negli Stati della Chiesa, in Toscana e a Cipro, nonché da documenti concernenti permute, locazioni, donazioni di terre e di case. Di seguito tenteremo di tracciare una sommaria biografia di Jacopo da Montecucco, riunendo i frammenti storici che lo riguardano.
Secondo la tesi della Prof.ssa Bianca Capone, che alla figura di Jacopo ha dedicato numerosi studi e testi che sono richiamati nella bibliografia, Jacopo da Montecucco (o meglio sarebbe dire Moncucco), nasce nel Castello dei Grisella a Moncucco Torinese e visse a metà fra il XIII e XIV secolo. Appartenente presumibilmente al ramo cadetto dei conti di Biandrate, figlio di Uberto signore di Moncucco vissuto nella seconda metà del Duecento (1260 circa).
Apparteneva, dunque, alla casata dei signori di Moncucco Torinese, vassalli dei marchesi del Monferrato. I signori di Moncucco erano gli "avvocati" della Chiesa di Torino (secondo lo storico inglese Hayward). A Moncucco Torinese esiste ancora, di proprietà demaniale, il castello di questa famiglia, per quanto rimaneggiato nel sec. XV. (Documento 08 allegato).
Dissapori familiari spingono Jacopo ad abbandonare il borgo natio per entrare nell’ordine dei cavalieri Templari, assieme al fratellastro Nicolò. Insieme raggiungono Cipro, una delle sedi dell’Ordine che diventerà di fondamentale importanza successivamente alla perdita di Acri del 1291, partecipando all’assedio di Acri e poi vagano per l’Europa.
Jacopo rivestì l’importante carica di Gran Precettore d'Italia con sede a Roma, a S. Maria dell'Aventino, mentre il precettore del Regno di Sicilia aveva sede a Barletta nella chiesa di S. Maria Maddalena. Entrambi, tuttavia, disponevano di varie residenze, a causa dei frequenti spostamenti che richiedeva la loro alta carica. La stessa chiesa di S. Maria in Aventino (dove il Precettore avrebbe dovuto risiedere) risultava, tuttavia, troppo distante dalla sede papale di San Pietro, quindi ai "cubiculari" era quasi sempre riservata una sala a diretto contatto con quella papale per poter prontamente intervenire in caso di necessità.
A chiesa di S. Maria in Aventino risulta per l’Ordine templare più una sede di rappresentanza (considerato che Roma era la sede papale) che una sede amministrativa, in quanto gli stessi templari possedevano in Roma una casa ben più protetta in zona S. Maria Maggiore.
Alcuni studiosi sono propensi a ritenere che la casa madre dell'Ordine nel Regno d'Italia fosse S. Maria del Tempio di Bologna, non solo per la sua posizione più centralizzata rispetto a Roma, ma anche perché fu sede di importanti capitoli provinciali. Si potrebbe ipotizzare che Bologna fosse il centro amministrativo e Roma quello di rappresentanza, tenuto conto che nella capitale della cristianità affluivano ambasciatori, principi, arcivescovi ed altri personaggi di spicco.
Alcuni fra i Gran Precettori templari erano anche "cubiculari" dei Papi e, in quanto tali, dovevano far parte del loro seguito, quando questi si trasferivano in altre città. Anche Jacopo rivestì tale importante carica di addetto all’anticamera papale tra 1304 al 1307, un onore riservato solo a pochi alti dignitari dell’Ordine.
Eletto gran precettore d’Italia nei primi mesi del 1303, dunque, presiede il capitolo celebrato a Bologna attorno al 1304. Dopo una breve presenza alla mansione di S. Giustino d’Arno, vicino a Perugia, in qualità di cubiculario segue il pontefice Benedetto XI in fuga da Roma (soggiornando spesso a Perugia presso la curia pontificia) e poi, a Poitiers, con Clemente V.
Alcune tappe fondamentali della vita di Jacopo desunte dagli interrogatori e da documenti pontifici.
• Non si sa esattamente in che anno Jacopo fu accolto nell’Ordine Templare;
• Dal 1289 al 1302 fu precettore della balia di Bologna (Archivio Segreto Vaticano, Manoscritto A.A., Arm. D. 223, Codice Latino 4011);
• dal 1290 al 1300 - Jacopo diventa precettore della “baliva” (ufficiale di nomina regia a cui era affidata una circoscrizione territoriale, con poteri amministrativi e giudiziari) di Santa Maria del Tempio a Bologna (carica che ricopre sicuramente), tenendo due capitoli; quindi diventa gran precettore di Lombardia (che comprende anche il Piemonte), Tuscia, Stati della Chiesa e Sardegna. Tutti i Gran Precettore d’Italia vengono anche designati col titolo di Magister in Italia, o per totam Italiam o totius Italie). Nella suddivisione territoriale delle province templari il termine Lombardia indicava grosso modo i territori del vecchio regno d'Italia, facente parte del Sacro Romano Impero. Dalle deposizioni dei templari inquisiti nel Patrimonio di San Pietro sono specificate le regioni dipendenti dalla provincia templare di Lombardia, queste erano: Lombardia (comprese Piemonte e Liguria), Tuscia, Patrimonio di
San Pietro, Roma, Campagna (Frusinate), Marittima (attuale provincia di Latina), Marca Anconetana, Ducato di Spoleto, Sardegna. A queste regioni vanno aggiunte le tre Venezie e l'Emilia-Romagna che gli inquisiti non menzionano
• Alla fine del 1302 o agli inizi del 1303 divenne precettore di Lombardia dopo la morte di Uguccione da Vercelli, ancora vivo il 13 luglio 1302 (Archivio Segreto Vaticano, Manoscritto, Arm D.207, perg.XXXV). Jacopo, come vedremo, verrà anche detto anche “Lombardo”, in quanto all’epoca la Lombardia (che comprendeva anche il Piemonte) poteva a giusta ragione essere considerata la regione più importante non solo geograficamente ma anche per la presenza templare. Il termine “Lombardo” risulta, secondo il Tommasi, a Perugia, 1310 dove Niccolò, priore del convento di S. Domenico, riceve le deposizioni in merito all'indulgenza plenaria, concessa nel 1304 da papa Benedetto XI alla chiesa di S. Domenico nell'anniversario dell'invenzione del corpo di S. Stefano. Fra gli altri vennero in quell'anno ascoltati frate Jacopo de Monteluco “Lombardo Templario”.
Perugia, 1310 agosto 1 - Niccolò, priore del convento di S. Domenico, riceve le deposizioni in merito all'indulgenza plenaria, concessa nel 1304 da papa Benedetto XI alla chiesa di S. Domenico nell'anniversario dell'invenzione del corpo di S. Stefano. Fra gli altri vennero in quell'anno ascoltati frate Jacopo de Monteluco “Lombardo Templario” e Albertino de Canelliis Templario. Frate Gregorio, “qui est de Templariis Sancti Johanni, qui erat hostiarius domini pape Benedicti quando idem dominus pape Benedictus possit plenam indulgentiam omnium peccatorum in loco fratrum Predicatorum de Perusio”.
• Nel 1303, in qualità di gran precettore di Lombardia e Tuscia, presiede un Capitolo a Bologna.
• Nel 1304 Jacopo si trovava a Perugia al seguito del papa domenicano Benedetto XI, nella sua veste di "cubiculario" papale. Insieme ad Alberto da Canelli, “ostiario” papale e in seguito precettore della balia di Sicilia, assistette nella chiesa di San Domenico alla funzione nella quale il pontefice concesse l'indulgenza plenaria a tutti coloro che si sarebbero recati in quella chiesa nel giorno della festa del ritrovamento del Corpo di Santo Stefano;
• Il 9 giugno 1307 (solo quattro mesi prima delle retate in Francia) Jacopo è a Poitiers come “cubiculario" di Clemente V dove assiste alla donazione di alcuni possedimenti templari della diocesi di Angen, concessi da Jacques de Molay a "Petrus de Bordis" ( "Regestum Clementis Pupae V, cura et studio monachorunr ordinis Sancti Benedicti", Anno MDCCCXXXV - Ex Typographia Vaticana, n.718, 31 luglio 1311).
Questa notizia è contenuta nella bolla di conferma di quella donazione emanata dal papa il 10 luglio 1311. Nel documento il Gran Precettore d'Italia è menzionato come "Jacobo de Monteacuto, preceptore domorum militie Templi in Lombardia" : unico caso in cui il suo predicato è scritto nella forma originale latina e non in quella volgare, come appare nelle pergamene italiane.
• Il 15 marzo 1308, sei mesi dopo gli arresti dei Templari in Francia, Jacopo è ancora "camerario di Clemente V e precettore generale delle case del Tempio di Lombardia, Tuscia, Roma e Sardegna " e, in tale veste, invia a fra' Ubertoda Pigazzano, precettore del Tempio di Milano suo procuratore e sindaco, una procura per la locazione di terre (l'atto fu rogato il 6 aprile 1308). Tale episodio pone in evidenza che in quel periodo fra' Jacopo non era certamente in Francia, altrimenti sarebbe stato arrestato come lo fu Alberto da Canelli.
• L’atto di locazione summenzionato, è' un documento di grande importanza, in quanto c'informa che in quella data i Templari dell'Italia Settentrionale non erano ancora stati arrestati, a differenza di quelli meridionali. Infatti, solo tre giorni prima dell'invio della procura di Jacopo al precettore di Milano, cioè, il 12 marzo 1308, il giustiziere della Terra di Bari, Giovanni de Laya, aveva catturato otto Templari e consegnati al castellano di Barletta. Nella nostra penisola la
bolla "Pastoralis Preminentie", sembrava non aver ottenuto ancora l'effetto sperato.
• A partire dal 1308, quando dopo la bolla “Pastoralis preminentie” di Clemente V iniziano le persecuzioni contro i Templari, non si hanno più notizie di Jacopo da Moncucco.
• Jacopo, scampato alla cattura, non si presentò ad alcuno dei processi italiani, nonostante le ripetute ingiunzioni emesse dagli inquisitori del patrimonio di S. Pietro e dalla commissione nominata dal papa che lo dichiararono, alfine, contumace e scomunicato. Più realisticamente potrebbe essere rimasto nascosto nel castello di Moncucco Torinese.
Le accuse contestate all’ultimo Precettore d’Italia, le desumiamo da alcune testimonianze di inquisiti nel processo ai Templari negli Stati della Chiesa nel 1310, tuttavia, risulta che Jacopo successe nella carica Gran Precettore d'Italia ad Uguccione di Vercelli, e soprattutto da tre importanti deposizioni di Fra' Egidio, Fra' Guido di Cietica, Fra' Nicolao da Reggio si può desumere quelle che furono la accuse a lui addebitate: idolatria, eresia ed apostasia.
Riportiamo la descrizione delle deposizioni secondo la lettura della Dott.ssa Capone:
Fra' Egidio, precettore della mansione di S. Gimignano, processato a Firenze nel 1311, dichiarò che fra' Jacopo da Montecucco fu precettore della baliva di S. Maria del Tempio di Bologna almeno dal 1290 al 1300. In quei due anni vi si sarebbero tenuti due capitoli, ai quali fra' Egidio testimonia di avere partecipato e di aver visto, nel primo, il
Montecucco negare Cristo e sputare sul Crocifisso, nel secondo, adorare e toccare la famosa testa, presunto “idolo” dei Templari; Fra' Guido di Cietica, precettore della mansione di Caporsoli, depose che Jacopo da Montecucco aveva presieduto, già come Gran Precettore "di Lombardia e di Tuscia", ad un capitolo celebrato a Bologna "iam sunt IX annis vel circa", cioè intorno al 1303, e che in quell'occasione gli avrebbe ordinato di rinnegare Cristo, la Madonna e i Santi; Fra' Nicolao da Reggio, precettore della mansione di Grosseto, confessò agli inquisitori di aver visto il Gran Precettore in un capitolo provinciale , che ebbe luogo sempre a Bologna,"iam sunt VII annis vel VIII, vel circa ”, cioè o nel 1304 o nel 1305, durante il quale lo udì affermare che Cristo era un falso profeta, che non era morto per redimere i nostri peccati ed altre eresie imputate ai Templari e confessato sotto la tortura.
• Dopo la data del 1308 qualche studioso ha ipotizzato che Jacopo possa essere espatriato:
• in Ungheria fra i Templari di quella provincia(che si era svincolata da potere centrale
• a Rodi fra i cavalieri Giovanniti,
• in Spagna fra i cavalieri di Calatrava per continuare la crociata contro l’Islam.
• Di lui non si hanno più notizie fino al 1316 quando viene citato in un documento del 17 novembre con il quale il vescovo Alberto di Ivrea gli concede l'investitura, come chierico della pieve di San Cassiano a San Sebastiano da Po in Monferrato (ora intitolata alla Natività di S. Maria e a S. Anna e distante soli 15 km da Moncucco);
• L'11 dicembre 1316 il pievano di San Cassiano lo riceve quale chierico nella pieve.

LE IPOTESI DELL’ORIGINE DI JACOPO: “MONTECUCCO”

I ricercatori e gli storici sostengono che il toponimo Montecucco possa essere conferito a tre regioni italiane, dato dall’esistenza nelle loro zone di un monte Cucco. Si tratta della Campania, del Piemonte e delle Marche. In quest’ultima regione i toponimi “Monte Cucco” sono addirittura due. Uno di questi delimita il confine tra le Marche e l’Umbria, il monte si trova nei pressi dell’attuale comprensorio comunale di Fabriano. L’altro, che è più collina che montagna, si adagia nei pressi di San Giorgio di Pesaro. Analizziamo le tre ipotesi avanzate circa l’origine di Jacopo e,
quindi, l'ubicazione del toponimo “Montecucco”, sulla base delle ricerche effettuate dalla storica Dott.ssa Bianca Capone.
IPOTESI EMILIANA
Alcuni storici, fra cui il Pietro de' Crescenzi, nel cinquecento ritenevano che Jacopo da Montecucco fosse originario di un luogo situato nelle vicinanze di Piacenza. In effetti poco al di fuori degli antichi bastioni della Città di Piacenza ancora esiste una località denominata “Montecucco” che è riportata nella carta dell'I.G.M. Il de' Crescenzi scrive: "dei Platoni, conti di Montecucco, fu già celebre Giacomo da Piacenza, soldato di valore, cameriero del papa e Gran Maestro dello Ordine Templare, il quale donò alla Congregazione dei Predicatori la chiesa del Tempio della Patria", incorrendo, tuttavia, nell’errore commesso dagli altri storici, di confondere il Precettore d’Italia con il Gran Maestro
dell’Ordine Templare. Nel secolo scorso, invece, Gaetano Tononi, volendo correggere gli errori commessi dal de'
Crescenzi e dal Campi, ne commette un altro. Egli infatti,così scrive: “….. in un altro (documento), 8 luglio 1304, di donazione ai frati predicatori di S. Giovanni, fatta dai Templari della chiesa di S. Maria del Tempio (...) è nominato fra' Giacomo Fontana, piacentino, precettore di Carobiolo nella diocesi di Parma, come procuratore e sindaco di Jacques de Molay”, sottolineando che il de' Crescenzi aveva confuso "un Giacomo piacentino" con il Gran Maestro dell'Ordine, Jacques de Molay. L'errore del Tononi sta nel fatto che non il de Molay, ma proprio il Montecucco diede licenza a Giacomo Fontana di donare la precettoria di S. Maria del Tempio di Piacenza, come si legge nel documento originale, e che ora si trova all'Archivio di Stato di Parma, secondo una notizia tratta da un saggio di Emilio Nasalli Rocca. Deboli dunque sono le tracce che vogliono Jacopo da Montecucco di origine Emiliana.
IPOTESI UMBRO-MARCHIGIANA
Questa seconda ipotesi, quella cioè che ritiene che Jacopo da Montecucco fosse marchigiano e che derivasse il suo cognome dal Monte Cucco, una montagna al confine fra l'Umbria e le Marche, secondo la Dott.ssa Capone, risulta essere errata. E questo non solo perché Jacopo risulta denominato "Lombardo templario", ma anche perché il
predicato dei frati-guerrieri indica sempre il paese o il castello d'origine e non una località disabitata, come in questo caso un monte. Inoltre, l'ipotesi di alcuni studiosi marchigiani secondo cui Jacopo da Montecucco, al tempo degli arresti, si fosse "nascosto" nelle Marche, nei pressi del Monte Cucco, o si fosse rifugiato ad Ancona, è assolutamente priva di fondamento. L'inesattezza è stata causata da una lettura errata della bolla "Faciens Misericordiam", inviata ai
vescovi di Fano e di Jesi, laddove si legge che il papa ordina ai due prelati di recarsi nella Marchia Anconitana per fare inquisizione "contra dictum ordinem nec non contra magnum preceptorem dicti ordinis in dicta Marchia constitutum". Esistono numerose copie della bolla “Faciens Misericordiam", tutte dell’8 agosto 1308 da Poitiers, indirizzate, al fine di arrestare e interrogare il Gran Precettore d’Italia, a:
• Arcivescovi di Ravenna e Pisa e ai vescovi di Firenze e Cremona;
• Arcivescovo di Pisa e al vescovo di Pistoia;
• Vescovo di Sutri e al Magister Pandolfo Savelli;
• Arcivescovo di Arborea e ad altri prelati sardi.
Da quanto appena detto risulta, quindi, che Jacopo, che era Gran Precettore della Lombardia, della Tuscia, degli Stati della Chiesa e della Sardegna, non poteva "nascondersi" o "rifugiarsi" contemporaneamente in ogni provincia posta sotto la sua giurisdizione! Pertanto, il passo: "Magnum Magistrum dicti ordinis in dicta Marchia constitutum" non si riferisce a Jacopo da Montecucco, ma al precettore incaricato di reggere le case del Tempio nella Marca ed ivi
residente. Altri precettori, infatti, esercitavano lo stesso incarico nelle restanti regioni papali, sulle quali presiedeva un dignitario di grado superiore. Nell'intestazione dell'estratto del processo contro i Templari di quelle regioni, viene messa in evidenza la duplice e contemporanea presenza di quell'alto dignitario del Tempio e di Jacopo da Montecucco.
IPOTESI PIEMONTESE
Alcuni come lo studioso Pola Falletti di Villafalletto, ritengono che la terra d'origine dell'ultimo Gran Precettore d'Italia sia Moncucco Torinese, che era uno dei tanti feudi dei conti di Biandrate di S. Giorgio, i quali, nel 1174, donarono ai cavalieri rossocrociati alcune terre presso S. Giorgio Canavese, su cui fu edificata la mansione di S. Maria di Ruspaglia, sita fra Torino e Ivrea. Il Pola Falletti scrive che nell'Archivio Vescovile di Ivrea esistono tre documenti, datati 1292, 1311(31 ottobre) e 1316, dove compare fra i testimoni un fra' Giacomino "de Montecucho, ordinis Templariorum" e aggiunge che nella carta del 1316 viene omesso l’ordine di appartenenza. Le antiche carte eporediesi, conservate nella Biblioteca Diocesana di Ivrea, hanno subito nel tempo numerose manomissioni, per cui è stato impossibile reperire i primi due documenti. La lettura del terzo documento del 1316 è stata di rilevante importanza, perché da essa emerge il nome di "fratrem Jacobum de Montecucho" (e non Jacobinum), il quale non fungeva da
testimone (Documento 07 allegato).
1. Ivrea, 1311 ottobre 30 - Frate Giacomo de Monte Cucco, dell'Ordine dei Templari, compare in un atto dell'archivio vescovile di Ivrea. (Ivrea. Archivio vescovile, protocollo Bonaventurino n. 3; cit. rip. in POLA, La castellata cit., p. 235).
2. Ivrea, 1316 - Pietro de Solerio, “vicecomes Ypor. Ecclesiae” presenta al vescovo Alberto frate Giacomo de Montecucho per l'investitura, come chierico, della pieve di S. Cassiano di S. Sebastiano de Monferrato. (Ivrea. Biblioteca diocesana, A.M. 313-317/1, f. 31; doc. cit. in CAPONE, Jacopo cit., pp. 32-3).
3. Ivrea, 1316 dicembre 11 - Giorgio, pievano di S. Cassiano di S. Sebastiano de Monferrato, su mandato del vescovo di Ivrea, riceve frate Giacomo de Montecucco. (Ivrea. Biblioteca diocesana, A.M. 313-317/1, f. 32; doc. cit. in CAPONE, Jacopocit., p. 33).
L'origine piemontese di Jacopo da Montecucco è ulteriormente e inequivocabilmente dimostrata da un documento pubblicato dallo storico tedesco Schottmuller (Documenti 05 – 06 allegati).
Si tratta della de posizione del "miles" fra' Nicolao "de Moncucco, Turonensis diocesis", processato a Cipro, il quale, in data 21 maggio 1310 dichiara di essere entrato nell’'ordine circa sette anni prima, cioè nel 1303, e di essere stato ricevuto nella precettoria di Asti dal suo fratello naturale, fra' "Jacobus de Montecucco", precettore di Lombardia. Alla ricezione era presente, con altri templari, fra' Oddo di S. Giorgio, membro della famiglia dei Biandrate.
La testimonianza di fra' Nicolao è di grande interesse per vari motivi e secondo la Dott.ssa Capone dimostra che:
1. il cognome dell'ultimo Gran Precettore trae origine dal paese di Moncucco;
2. questo paese si trova nella diocesi di Torino, quindi si tratta proprio di Moncucco Torinese;
3. Nicolao e Jacopo, "miles" l'uno e "preceptor Lombardie" l'altro, erano nobili e quindi appartenevano ai signori feudali di Moncucco;
4. il predicato dei due fratelli templari si scriveva indifferentemente nelle due forme: Moncucco e Montecucco;
5. nel 1303 Jacopo era precettore di Lombardia: forma abbreviata per Lombardia, Tuscia, "terra Rome " e Sardegna.
Approfondiamo la deposizione del processo di Cipro citando lo studio della storica Loredana Imperio importante ai fini della determinazione delle origini di Jacopo da Montecucco.
Si riporta di seguito il contesto in cui avvenne la deposizione di Frà Nicolao, rimandando alla scheda allegata (documento 06).
Frater: NICOLAUS DE MONCUCCO Turonensis diocesis, miles
Recepit eum: frater Jacobus de Montecucco, frater naturalis fratris Nicolai, tunc preceptor in Lombardia
Ubi: In Asta
De tempore: sunt VII anni elapsi et plus a die Veneris sancto citra
Astantibus: frater Oddo de sancto Georgio, miles - frater Raymundus de Canetis, miles - frater Manuel, tunc cappellanus ordinis predicti
Fra': NICOLO’ DA MONTECUCCO diocesi di Torino, cavaliere
Ricevuto da: fra' Jacopo da Montecucco, fratello naturale di fra' Nicolo, allora precettore di Lombardia
Dove: Asti
Quando: Sono passati sette anni e più il giorno di Venerdì Santo (5 aprile 1303)
Presenti: Fra' Oddo di San Giorgio, cavaliere - Fra' Raimondo da Canelli, cavaliere - Fra' Manuele, allora cappellano dell'Ordine
• Fra' Nicolò da Montecucco nell'interrogatorio riferisce di essere stato ricevuto ad Asti, la più importante precettoria piemontese, dove si svolsero anche alcuni Capitoli dell'Ordine. Probabilmente quella di Nicolò fu una delle prime ricezioni presiedute da Jacopo nella veste di precettore di Lombardia;
• Viene accolto, oltre che dal fratello, da:
- fra' Oddo o Oddino di San Giorgio della famiglia comitale dei Biandrate che risulta ancora precettore di Murello (Cuneo) il 26 giugno 1308;
- fra' Raimondo da Canelli appartenente alla famiglia del precettore di Lombardia fra' Guglielmo da Canelli (1292-1300 o 1301) e di Alberto da Canelli, ostiario papale e ultimo precettore della balia di Sicilia.
• Nella seconda parte dell'interrogatorio, fra' Nicolò dichiara di aver visto fare le elemosine nelle case del Tempio di Acri e Cipro. Poiché egli entrò nell'Ordine solo nel 1303, potrebbe essere stato ad Acri prima del 1291, anno della caduta della città, o come crociato oppure come cavaliere affiliato al Tempio e non certamente come cavaliere professo.
• II frater Nicolaus miles (cavaliere) viene descritto con differenti dizioni: Moncucco, Monchucho, Montecucco. I testimoni lo chiamano più genericamente Nicolò “il Lombardo”. A questo proposito lo stesso Jacopo era definito “Lombardo Templario”.
• Nella parlata comune medievale erano definiti “Lombardi” tutti gli abitanti dell'Italia centrosettentrionale:
anche i banchieri toscani si dicevano Lombardi;
• Nicolaus apparteneva alla diocesi di Torino: Taurinensis diocesis e non Turonensis come erroneamente scrive l'amanuense;
• Nicolò era fratello “naturalis” di Jacopo da Montecucco. La scritticre Anne Gilmour-Bryson ha ipotizzato che il termine "naturalis" potesse indicare che Nicolò fosse fratello illegittimo di Jacopo. Questa ipotesi, seconda la Imperio, è errata, in quanto sia "naturalis" che "carnalis" nel medioevo indicavano i figli legittimi, il secondo termine "carnalis" era più specifico perché indicava i figli della stessa madre, cioè “della stessa carne”.
• Probabilmente Nicolò e Jacopo erano figli di due madri diverse ma dello stesso padre. A quel tempo difficilmente un signore restava vedovo a lungo a taluni si risposavano anche tre o quattro volte.
• Inoltre è impossibile che Nicolò fosse un bastardo, perché secondo la Regola Templare non avrebbe potuto essere accolto. Nel rituale di ricezione dei cavalieri del Tempio, infatti, tramandatoci in alcuni interrogatori, vi era la specifica domanda: "Siete voi nato da legittime nozze?", il che escludeva l'accettazione degli illegittimi. Non va dimenticato, a questo proposito, che uno dei fattori che scatenarono l'astio di Filippo IV verso l'Ordine, fu anche il rifiuto, voluto
dal Maestro in rispetto alla Regola, di accettare nel Tempio il figlio bastardo del re.
• Jacopo da Montecucco, in qualità di Precettore di Lombardia, ricevette suo fratello Nicolaus nell'Ordine.

LA FINE DI JACOPO DA MONTECUCCO ?

Abbiamo avuto modo di vedere che il giorno 11 dicembre 1316 il pievano di San Cassiano riceve Jacopo quale chierico nella pieve. Sembra così terminare nel silenzio di una chiesetta di campagna la vita dell'ultimo gran precettore d'Italia. In realtà, già nell’anno 1328 Papa Giovanni XXII, successore di Clemente V, chiedeva ancora informazioni ai vescovi dell’Italia centrale se avessero avuto notizie di Jacopo da Montecucco. Addirittura sembra che contro di lui fosse stata
organizzata una vera e propria caccia all’uomo dal vescovo di Viterbo fin dal 1320!
Si presume che il motivo di tanto accanimento fosse dovuto alla natura della carica rivestita da Jacopo. Difatti la sua responsabilità all’interno dell’Ordine, che fu una sorta di punto di riferimento spirituale per i cavalieri, avrebbe consentito di conoscere i problemi inconfessabili in tema di fede di molti di essi, o i peccati contro la Chiesa che avrebbero presumibilmente commessi in un periodo della storia dell’Ordine e del papato molto particolari, durante il quale i sospetti di apostasia e di tradimento furono abituali. Sotto questo profilo, Jacopo avrebbe potuto sapere più cose di quanto si presumeva avesse conosciuto. In ogni caso, il fatto che Jacopo da Moncucco sia stato accolto nel clero secolare avvalora la tesi della sua innocenza: non era, così come molti altri Templari, un eretico e non aveva commesso
tutti i misfatti emersi nelle confessioni (in molti casi estorte con l’uso della tortura) dei cavalieri templari durante i processi.

CONCLUSIONI

Iniziato nel 1309, il processo ai Templari sul suolo italiano, e in particolare negli Stati pontifici, si concluse a Palombara Sabina dopo circa nove mesi di indagini il 27 maggio 1310. Alla fine di questo breve periodo (settembre-ottobre 1309 - luglio del 1310) la commissione inquisitoriale pontificia aveva si raccolto le testimonianze dei Templari che era riuscita ad interrogare in minuti dettagli delle attività dei nunzi, dei notai e degli inquisitori, tuttavia di queste
poche decine di appartenenti all’Ordine che fu possibile assicurare alla giustizia e tradurre davanti ai tribunali inquisitoriali furono interrogati quasi sempre Templari già prigionieri, non trovandosene altri (salvo casi particolari) che volessero rischiare la propria vita per esporsi pubblicamente: in definitiva uno scarso risultato per tanto lavoro. Il Processo “italiano” ebbe caratteristiche molto differenti dalle vicende processuali in altri paesi europei e in particolare in Francia, in quanto fu di sicuro molto meno cruento, anche grazie alle figure di Rinaldo da Concorezzo e Pietro da Bologna. In particolare quello che successe in terra umbra il Processo ai Templari svoltosi tra Gubbio e Assisi, non vi fu neanche un processo nei termini in cui questo dovrebbe svolgersi, perché non si poté contare sulla presenza “fisica” degli imputati e, quindi, non andò a buon fine, almeno secondo quelle che erano le intenzioni del Romano Pontefice e della Commissione Pontificia da quest’ultimo incaricata. In definitiva, quindi, quello negli Stati della Chiesa fu uno dei processi meno cruenti e meno importanti rispetto ad altri tanto che, con ogni probabilità, i risultati di questa inchiesta non ebbero alcuna influenza sul successivo Concilio di Vienne del 1312 che sanciva la definitiva sospensione dell’Ordine del Tempio, in quanto le personalità trovate in esso non furono notevoli. Gli storici hanno a volte considerato le accuse contro i Templari più seriamente di quanto meritassero: oggi, tuttavia, queste accuse sono universalmente considerate false nonché “espressione di una campagna calunniosa”. Sta di fatto che gli albori del XIV secolo videro compiersi, con il processo contro i Templari, una delle più grandi tragedie della storia della Chiesa.
L’Ordine dei “Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis”, che godeva di grande reputazione e possedeva grandi ricchezze, venne accusato d'una serie di crimini dal re di Francia Filippo IV il Bello e dai suoi ministri, i quali, avvalendosi di un'inquisizione manovrata dallo Stato, fecero arrestare più di mille cavalieri, tanti ne fecero torturare, molti furono mandati al rogo. Papa Clemente V, che in un primo momento tentò di opporsi ad un simile atto di violenza che si faceva beffe d'ogni diritto, alla fine cedette, e soppresse l'Ordine con un decreto amministrativo. La responsabilità di tutto questo, spetta soprattutto al re di Francia, ma anche il papa non fu esente da responsabilità: lasciandosi ricattare divenne anch'egli “persecutore” di quell’Ordine di Cavalieri che avrebbe dovuto invece difendere.

BIBLIOGRAFIA GENERALE
Anne Gilmour-Bryson, The Trial of the Templars in the Papal State and the Abbruzzi, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1982
Francesco Tommasi, L’Ordine dei Templari a Perugia, in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria”,
Perugia, LXXVIII – 1981
Bianca Capone Ferrari, Il Templare di Moncucco, Edizioni Capone, Torino 2004; Atti del V Convegno Ricerche Templari, Castel Rigone, 1987
Bianca Capone, Jacopo da Montecucco, ultimo Gran Precettore d’Italia, Edizioni F. Capone, Torino 1988
Fulvio Bramato, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le Fondazioni, Edizioni Atanor, Roma 1994
Fulvio Bramato, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le Inquisizioni – Le Fonti, Edizioni Atanor, Roma 1994
Bianca Capone Ferrari, Alla ricerca delle mansioni templari. Italia Centro settentrionale, Edizioni Federico Capone, Torino 2009
Bianca Capone Ferrari, Quando in Italia c’erano i Templari. Italia settentrionale, Edizioni Federico Capone, Torino 1997
Loredana Imperio, Il tramonto dei Templari. Il Processo di Cipro: uomini e vicendedell’Ordine nei suoi ultimi anni di vita, Edizioni Penne & Papiri, Latina, 1992
Bianca Capone Ferrari, Sulle tracce dei cavalieri Templari, Edizioni Federico Capone, Torino, 1996
Gaetano Lamattina, I Templari nella Storia, Edizioni I Templari, Roma, 1981
Loredana Imperio, Parigi 1307. Il venerdì maledetto dei templari. "Le inquisizioni parigine contro Templari",
Edizioni Penne & Papiri, Tuscania, 2007
Giampiero Bagni, Pietro da Bologna: il difensore dei templari, Bononia University Press, Bologna, 2008
Renzo Caravita, Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna (1303-1321) al tempo di Dante, Firenze, Olschki, 1964
Domenico Bartoletti, L’Eremo di Montecucco, Sigillo Umbro, 1987

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Articolo tratto da https://sites.google.com/site/gruppomizar/templarismo/stefano
Articolo scritto da Stefano Guglielmi Ricercatore L.A.R.T.I. – Libera Associazione Ricercatori Templari Italiani

2 commenti:


  1. La ricerca sulla vita di Giacomo Platoni autentico Cavaliere Templare sono stati sviluppati e pubblicati nel 2015 in Spagna.

    Conte di Montecucco Platoni era il famoso Giacomo de Plasencia e arciprete di Borgo Val di Taro per l'anno 1262.

    Le informazioni sono state anche salvato negli archivi segreti del Vaticano.


    http://docplayer.es/10877776-Revista-digital-non-nobis-tradicion-filosofia-y-enigmas-issn-0719-3394-avro-clausa-patent.html

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  2. La ricerca sulla vita di Giacomo Platoni autentico Cavaliere Templare sono stati sviluppati e pubblicati nel 2015 in Spagna.

    Conte di Montecucco Platoni era il famoso Giacomo de Plasencia e arciprete di Borgo Val di Taro per l'anno 1262.

    Le informazioni sono state anche salvato negli archivi segreti del Vaticano.


    http://docplayer.es/10877776-Revista-digital-non-nobis-tradicion-filosofia-y-enigmas-issn-0719-3394-avro-clausa-patent.html

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