venerdì 14 settembre 2012

DANTE TEMPLARE ED ALCHIMISTA?


Che cosa è la Divina Commedia? Se proviamo a porre questa domanda alla stragrande maggioranza di studenti liceali la risposta, edulcorata a dovere,sarà "tremendamente noiosa, frutto delle visioni di un pazzo visionario che non aveva meglio da fare". Sul tremendamente noiosa, magari, possiamo a tratti essere d'accordo ma lì si parla di gusti letterari personali che, come noto, non sono oggetto di discussione: sul secondo periodo della frase, possiamo senza dubbio dissentire. Dante era tutto tranne che "pazzo visionare" e aveva una vita estremamente attiva. La sua opera principale, la Commedia, è senza dubbio una opera dal fortissimo sapore allegorico ed esoterico frutto, questo sì, di convinzioni del tempo e di un momento storico
estremamente complesso. Il periodo storico in cui si colloca la Commedia (che secondo alcuni fu scritta tra il 1304 e il 1321) coincide con precisione chirurgica con il periodo peggiore della storia dei cavalieri templari. Che sia solo un caso? E' difficile dirlo, ma è altrettanto difficile pensare che Dante stesso non avesse un contatto, quantomeno ufficioso, con i cavalieri del Tempio; e da questo punto di vista, la Commedia può essere intesa sia come un opera alchemica ed esoterica, ma anche come una sorta di apologia del movimento templare. A sostegno di una visione mistica – allegorica -esoterica della Commedia, ci viene incontro il poeta stesso
“O voi ch’avete gli intelletti sani
mirate la dottrina che s’asconde
sotto il velame delli versi strani”
(Inferno IX, 61-63)

Con questi versi il poeta vuole accompagnare l'iniziato/lettore verso la verità che non è quella che possiamo leggere parola per parola, endecasillabo per endecasillabo ma è quella che si nasconde dietro allegorie, similitudini, anafore, metafore. Sappiamo per certo che Dante era un seguace dei "Fedeli d'Amore" che annoverava molti dei poeti del Dolce Stilnovo e consisteva in un ordine iniziatico legato ai templari e
fortemente sospettato di essere eretico. Con il Concilio di Vienne indetto per l'anno 1311/1312 le pene per gli eretici si inasprirono notevolmente, non a caso fu questo concilio, (a cui non parteciparono i membri della chiesa francese per ordine di Filippo IV di Francia) che promosse la soppressione dei Templari, unitamente all'assoluzione di Filippo per le azioni contro papa Bonifacio VIII dopo il fattaccio dello "Schiaffo di
Anagni". Vien da se, quindi, che gli stessi Fedeli d'Amore correvano un rischio incalcolabile ad esporsi troppo, pertanto comunicavano tra di loro mediante "codici" nelle proprie poesie seguendo un linguaggio che era di élite culturali molto elevate. E' facile pensare, altresì, che Dante stesso abbia iniziato a scrivere la
Commedia, proprio sull'onda emozionale di ciò che avveniva in Europa nella fase iniziale del 1300. Dante, essendo un uomo che aveva insita nella sua anima la cultura medievale, notò proprio la contraddizione in cui era caduta la Chiesa di Roma nella persona del Romano Pontefice: se da un lato il papa era guida spirituale
di pellegrini, fedeli e faro del mondo cristiano, dall'altro la stessa chiesa si piegava inesorabilmente ai reati più abietti, come la simonia, il nepotismo, ma soprattutto a re avari e senza il minimo scrupolo. Il contrasto tra papa e re ruppe quell'armonia universale che Dante affermava essere figlia della perfetta sintonia tra i due poteri. Il poeta fiorentino distingue due tipi di Chiesa, l'Ecclesia Carnalis basata su un potere, quello fornito
dalla Donazione di Costantino che ai tempi di Dante era ritenuto vero (fu dichiarato falso da Lorenzo Valla solamente intorno al 1440), e una Ecclesia Spirutalis formata dalla società dei santi che vedeva tra i maggiori esponenti non solo i seguaci dei Fedeli d'Amore ma anche San Bernardo da Chiaravalle ossia colui che, come abbiamo visto, scrisse la Regola del Tempio basata sulla Regola di San Benedetto. La società del tempo
voleva continuare la Riforma della Chiesa di sapore cluniacense che mal si mescolava con le ambizioni di papa
Bonifacio VIII (nonostante la chiamata a Roma col Giubileo del 1300) e con l'enorme debolezza di Bertrand De Got papa Clemente V un papa fantoccio che non si sbaglia a definire come prolungamento del potere del re di Francia all'interno delle Sacre Mura. Dopo questa legittima introduzione, senza la quale forse non si può comprendere appieno questo capitolo, viene da chiedersi se Dante sia stato un templare o solamente un
simpatizzate. Di certo possiamo affermare che l'intera Commedia sia intrisa di simboli che hanno a che fare col mondo templare, anzi probabilmente l'intera opera è un percorso iniziatico verso una conoscenza superiore che, forse, può essere identificata come il Santo Graal. In tutti i dodici mila e passa versi che costituiscono i cento canti, Dante colpisce il cuore della cristianità, il papa, e il re Filippo più volte. Se vogliamo ritenere la Commedia un percorso iniziaticopossiamo vedere l'inferno come un grembo materno, il "calice" secondo il
"Codice Da Vinci", in cui l'uomo che nasce peccatore sopporta tutti i castighi infernali fino ad uscire dall'inferno rigenerandosi e quindi rinascendo puro: è da intendersi come il percorso di un Apprendista, di colui che deve imparare per poi non sbagliare più in futuro. La Montagna del purgatorio, che la forma di una
"lama", ha altre prove iniziatiche che Dante porta sulla fronte dopo essere state incise con una spada da un angelo che sorveglia la porta del purgatorio al termine di tre gradini uno bianco, uno rosso e uno nero che, guarda caso, sono i tre colori che simboleggiano la Grande Ricerca Alchemica. 


Per li tre gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo:
«Chiedi umilmente che 'l serrame scioglia».
Il mio duca, traendomi su per i gradini, mi disse:
«Chiedi umilmente che ti apra la porta».
Divoto mi gittai a' santi piedi;
misericordia chiesi e ch'el m'aprisse,
ma tre volte nel petto pria mi diedi.
Devotamente mi gettai ai suoi piedi,
chiesi misericordia, lo pregai di farmi entrare
e innanzi a quei tre gradini,
per tre volte, mi battei il petto.
Sette P ne la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e «Fa che lavi,
quando se' dentro, queste piaghe», disse.
(Purgatorio, 106-114)

Il Paradiso vede la scomparsa del primo maestro, Virgilio, e il ruolo di Guida spirituale viene preso da Beatrice per poi essere a sua volta sostituita nel XXXI Canto del Paradiso niente di meno che da Bernardo da Chiaravalle, proprio colui che dotò di una regola molto ferrea l'Ordine Templare. Da questa prima disamina, è chiaro quindi che Dante quantomeno avesse una predilezione per San Bernardo e quindi, anche
indirettamente, per i templari intesi come simbolo di una chiesa pura, votata interamente a Cristo e al Signore. Dante prende di mira soprattutto Clemente V al secolo Bertrand de Got accusandolo di aver usurpato con la forza la Cattedra di Pietro tolta a Bonifacio VIII. 
“Quelli che usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio il luogo mio, che vaca
nella presenza del figliuol di Dio,
fatt’ha del cimitero mio cloaca”
(Paradiso. XXVII, 22-26).

La critica fa il paio con il momento storico in cui i cavalieri del tempio vivono. Dante accusa il papa di non aver proibito al re di Francia di muoversi unilateralmente contro l'ordine che, ricordiamo, dipendeva esclusivamente da Roma. E' evidente anche qui, come detto in precedenza, che il soccombere del pontefice era dovuto sia alla paura di avere una chiesa scismatica in Francia, sia ad una sorta di gratitudine nei confronti
di Filippo che "sponsorizzò" caldamente il vecchio vescovo di Bordeaux vincolandolo ancora di più nel territorio francese con la Cattività di Avignone. I Cavalieri Templari, essendo nati per difendere i luoghi di Gesù Cristo, avevano quantomeno diritto ad una difesa da dalla stessa carica che non solo li aveva sostenuti
spiritualmente ma soprattutto economicamente esentandoli da tasse e concedendo loro privilegi economici e sociali impensabili per qualsiasi altro ordine del tempo. Purtroppo Dante rimase estremamente deluso quando venne a sapere che il papa non aveva la minima intenzione, almeno ufficialmente, di mettersi contro il re di Francia; la paura dello Schiaffo di Anagni era ancora vivo nel cuore della Chiesa, e il papa voleva evitare altri
problemi. In seguito all'arresto dei templari di Francia, o meglio alcuni di essi, nel 1310 Dante Alighieri scrive delle lettere che sostengono il papa forse ancora ignaro di ciò che si tramava nelle sacre stanze ma quando il 13 marzo dell'anno 1311 Clemente V autorizza l'uso della tortura durante gli interrogatori ai templari per evitare che una eventuale votazione conciliare avrebbe assolto l'Ordine col rischio di creare una crisi a questo
punto irreversibile con Filippo il Bello. Il poeta rimase sconvolto quando venne a sapere del fattaccio e da quel momento l'Anticristo prende le sembianze e le parole di Clemente V scaraventato nell'inferno più profondo non tanto per la simonia e corruzione che rendeva abietta la chiesa di Clemente V ma per l'alto tradimento perpetrato nei confronti dei cavalieri del Tempio evidenziando questo repentino cambio di rotta.
Tramite Beatrice, Dante ha le sette visioni allegoriche della Storia della Chiesa, tralasciando le prime sei, la settima è rappresentata da una prostituta sul carro della Chiesa mentre bacia un gigante: in essi Dante vede il papa e il re di Francia. Filippo era fortemente avversato dal poeta tanto da dedicagli sei versetti:

“Veggio il nuovo Pilato sì crudele,
che ciò nol sazia, ma senza decreto,
porta nel Tempio le cupide vele.
O Segnor mio, quando sarò lieto
a veder la vendetta che, nascosa,
fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?"

In questi endecasillabi, non solo Filippo si mostra spinto da una avarizia profonda ma quasi "ammette" che la voglia di distruggere l'ordine del Tempio era esclusivamente per impadronirsi dei tesori che Filippo avrebbe visto quando, fuggito da una sommossa popolare scoppiata in seguito alla nefasta decisione di svalutare la moneta, si rifugiò proprio presso una commanderia dell'Ordine. In questo modo, è chiaro anche che la
testimonianza del "Giuda" Esquin de Floyran altro non era che un pretesto per gettare fango inutilmente sull'Ordine. La vendetta templare si compierà nel 1791 quando Luigi XVI fu portato, prima di salire sul patibolo, nella torre del Tempio di Parigi. Misteriosamente, Dante, non nomina direttamente Guillaume de Nogaret, braccio destro del re di Francia (che ebbe il "merito" di aver coordinato l'assedio ad Anagni presso il palazzo di Bonifacio VIII)

“Veggio in Alagna intrar lo fiordaliso
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un’altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele,
e tra vivi ladroni esser inciso”.
(Purgatorio XX, 86-90)

Ma di certo viene incluso tra i "vivi ladroni" unitamente a Sciarra Colonna la vera mente dell'oltraggio di Anagni. Sulla montagna del Purgatorio Dante e Virgilio arrivano sull'orlo di un profondo burrone: Virgilio ordina a Dante di togliersi la corda che aveva ai fianchi che non va inteso come il capestro simbolo di povertà
ed umiltà ma la cintura che San Bernardo aveva imposto ai Cavalieri Templari con l'obbligo di portarla sia di notte che di giorno. Appena getta la corda, compare Gerione che, dotato delle sembianze di Noffo Dei rappresentava in Francia tutti i banchieri di Firenze, viene posto nel girone dei traditori per essere uno dei grandi accusatori dei Templari. Questo, forse, è il momento in cui si palesa la probabile appartenenza del poeta ai Templari; Dante e Virgilio salgono in groppa a Gerione riproducendo in questo modo il tipico sigillo dei cavalieri templari ossia due cavalieri su un cavallo a testimoniare sia la povertà dei cavalieri sia la natura militare dell'ordine. Alla Gerusalemme terrena, luogo del Santo Sepolcro di Cristo, doveva corrispondere una Gerusalemme celeste e, per farlo i due strumenti necessari erano i cistercensi e i templari. Molto diffuso, oltre il sette, è il numero tredici:
- 13 erano i templari membri del capitolo che doveva eleggere
il Gran Maestro dei Templari
- 13 erano i monaci che potevano dar vita ad un monastero
cistercense
- 13 erano i componenti dell'Ultima Cena
(Cristo più i dodici apostoli)
- 13 erano i Pater Noster che il templare doveva recitare al
mattino. Inoltre è interessante notare come la nella valletta amena viene cantato il Salve Regina rivolti verso oriente come facevano gli stessi templari e ancora oggi il trono dei Maestri della Massoneria sono orientati verso oriente. Quindi, in questo senso, la Divina Commedia, unitamente alla storia templare, sostiene l'ipotesi di alcuni studiosi ed appassionati che vedono questi due elementi come padri di quella Massoneria che nascerà solamente nel 1717. Altra conferma dell'appartenenza di Dante ai templari viene dall'incipit del
XXXIII canto del Purgatorio che recita

"Deus, venerunt gentes polluerunt templum sacrum tuum”
ossia:
“Dio, vennero genti che profanarono il tuo tempio sacro"
Chi sono queste genti che profanarono il tempio di Dio? Forse i Romani che distrussero Gerusalemme nel 70 d.C, oppure il Re di Francia e Clemente V? Beatrice, successivamente, cita il Vangelo di San Giovanni con parole che avvisano Dante della sua scomparsa solo momentanea: leggendo la citazione in chiave templare, Dante vuole alludere alla speranza che ha insita nel cuore del ritorno agli ideali del Tempio che forse, oggi, si possono rileggere nella Massoneria Universale. Beatrice rappresenta la Sophia, la sapienza, forse la stessa sapienza nascosta dietro la parola Baphomet. La rappresentazione figurativa dell'inferno e del purgatorio, il "calice" e la "lama" fusi in uno creano quella conoscenza superiore, perfetta che forse è da intendersi come il vero santo Graal che non sarebbe né una coppa, né una ideale di scendenza di Cristo, ma solo il raggiungimento di una conoscenza perfetta e quindi è soggettiva ad ogni essere umano: come dire...ad ognuno il suo Santo Graal. 

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